Dopo l'orgia mediatica e politica sul tema della sicurezza celebratasi attorno all'introduzione dei «pacchetti sicurezza», in rapida successione e in evidente continuità da parte del governo Prodi e dell'attuale, l'onda alta della retorica sembra destinata a un ineluttabile declino. La conferenza stampa di ferragosto del ministro Maroni ha infatti prodotto paradossalmente un doppio effetto sdrammatizzante su due opposti versanti. Quello dell'autolegittimazione,
che enfatizza l'impiego dell'esercito come una soluzione prodigiosa del problema sicurezza, tanto che cala la criminalità, la gente si sente più sicura, si arrestano i nemici più pericolosi (33 immigrati su 37 soggetti arrestati), si circola più tranquilli per le città. Quello, opposto, sul versante critico, che tende a evidenziare l'infondatezza, al limite del risibile, di questa costruzione. Non solo perché la rilevazione dell'effettivo andamento della criminalità rappresenta, sul piano scientifico, un problema particolarmente complesso; non solo perché è sistematica la tendenza, nel conflitto politico, a rappresentare il problema come particolarmente grave finché governano gli avversari! Ma soprattutto perché è evidente che, se una tendenza alla diminuzione della criminalità è in atto, pur alla stregua degli indicatori devianti utilizzati, essa è iniziata ben prima che si insediasse l'attuale governo, tanto che verrebbe da chiedersi da cosa i provvedimenti siano stati motivati e perché mai fossero così necessari, mentre i numeri sull'efficienza dell'intervento dell'esercito risultano ridicoli quanto a consistenza, se paragonati all'andamento complessivo degli arresti, e rivelatori di un atteggiamento discriminatorio, selettivamente orientato a colpire soprattutto i migranti.
Ma l'atteggiamento del ministro dell'Interno potrebbe indicare qualcosa di più e di diverso. Nessuna campagna di allarme sociale può durare credibilmente a lungo. Infatti o si continua a sottolineare la gravità del pericolo, e allora è evidente l'insufficienza delle misure emergenziali adottate e se ne devono introdurre di più gravi; oppure si dimostra il successo delle politiche attuate, e allora l'allarme sociale tende a diminuire, ma con questo si affievolisce una delle più ambite risorse di organizzazione del consenso. Il fatto è che ogni emergenza, tanto più se di fatto infondata e sfruttata allarmisticamente, è destinata a esaurirsi nell'assuefazione. Le rassicurazioni di Maroni potrebbero essere dunque il sintomo di questa difficoltà: l'anticipazione della presa d'atto della scucitura tra enormità della mobilitazione mediatica e effettiva percezione dell'allarme sociale «sicurezza» sia conclusa. Solo possiamo ritenere di aver accumulato materiale sufficiente per un primo bilancio, I due pacchetti sicurezza appaiono materializzare, in continuità tra loro, pur con un evidente indurimento da parte dell'attuale governo, una comune tendenza a sottrarre il potere statale di restrizione della libertà dei singoli al rispetto delle garanzie giurisdizionali, per spostarlo sul puro piano dell'intervento amministrativo. La maggiore possibilità di espulsione dei migranti da parte dei prefetti e i poteri attribuiti ai sindaci in materia di ordine pubblico nel pacchetto di Amato costituiscono, se non altro sul piano culturale e istituzionale, la cornice più adeguata per il successivo sviluppo registrato dal pacchetto di Maroni, con l'introduzione di una serie di misure anti-immigrazione irregolare.
Ritroviamo qui i noti tratti essenziali della deformante corruzione postmoderna della natura e delle fondamenta del potere pubblico di restringere le libertà individuali e di punire. Ma ciò che maggiormente merita attenzione e riflessione critica è l' humus culturale diffuso che sostiene tale processo. Ci limitiamo a due aspetti. In primo luogo la natura e la sostanza che caratterizza i sentimenti di insicurezza. Non tanto e non solo l'espressione dei più profondi e complessi motivi di insicurezza diffusa, attraverso la paura per il diverso e lo sconosciuto. Quanto piuttosto l'assunzione dell'idea di un'insicurezza generalizzata, comunemente condivisa, come luogo comune passivizzante, che nella sua banale ovvietà crea a un tempo senso di appartenenza, calo di emotività, assuefazione alle rappresentazioni eteroindotte della realtà, assolutizzazione delle uniche soluzioni necessarie, e perciò mancanza di senso critico-analitico, di propositività, di attitudine partecipativa. Un mix culturale rinunciatario, demotivante e, insieme, paradossalmente rassicurante, che costituisce la condizione migliore per l'affermarsi di un pensiero unico orientato a politiche autoritarie. Il paradosso allora è che per via di questa normalizzazione, il pericolo non ha più neppure un effetto allarmante, e il singolo si sente rassicurato dal fatto che è convinto che tutti condividano la sua insicurezza. Allora ogni scelta, per quanto aberrante e autoritaria, diventa plausibile. In secondo luogo, ma in stretta connessione, colpisce il fatto che ai sentimenti di insicurezza e alla disponibilità a accettare politiche securitarie si associ il dichiarato disagio per il peggioramento della situazione economica e delle condizioni di vita, il disorientamento per la mancanza di prospettive future. Ciò che di per sé dovrebbe costituire il presupposto per spostare l'obiettivo e individuare la vera controparte rispetto all'artificialità strumentale della rappresentazione del «pubblico nemico», costituisce invece condizione favorevole per lo sfogo del proprio malessere verso il capro espiatorio di turno. La complessità delle cause della crisi attuale, insieme alla assuefazione a accettare passivamente lo stato di cose esistenti, rendono impossibile individuare una controparte e una reale strategia di cambiamento. Si aprono a questo punto almeno due interrogativi per la sinistra, a mio parere di cruciale importanza.
Quale consapevolezza per le cause più profonde dell'insicurezza possono sottrarre il sentire collettivo alla deriva deresponsabilizzante e autoritaria di cui ho detto. Quali prospettive economiche e politiche possono offrire un'alternativa credibile, adeguata e congruente alle attuali richieste di rassicurazione, sottraendole alle suggestioni sicuritarie. Senza una risposta seria la competizione a alzare il tiro aberrante della sicurezza non avrà fine.