I precari, o “personale di ricerca non strutturato” come preferiscono farsi chiamare, rivendicano il loro ruolo vitale nella vita dell’Ateneo bolognese rilanciando il dibattito sulla revisione dello statuto con proposte che spiazzano il dibattito in corso.
Una completa ridefinizione di tutti i Dipartimenti, che dovrebbero essere riorganizzati secondo una logica interdisciplinare e tematica.
Ma anche e soprattutto meno potere alle Facoltà, alle quali i ricercatori precari propongono di sottrarre le decisioni sull’assegnazione dei posti di ruolo di docenti e ricercatori, per conferirle ai Dipartimenti sulla base di una reale programmazione di ricerca.
“Una didattica di alto livello si sviluppa dove si svolge una ricerca di alto livello e non viceversa” dice il documento, che sottolinea come proprio l’attivazione di corsi allo scopo di assegnare posti di ruolo sia fatta a spese degli studenti.
Ma il documento, che fa un continuo riferimento a documenti della Commissione Europea, istituzioni internazionali e numerose università straniere nei primi dieci posti della classifica mondiale, chiede altre modifiche radicali: scoraggiare l’abuso di successivi contratti di ricerca precari, ma anche rappresentanti dei precari in tutti gli organi di governo, o l’inserimento nel sistema dei valori dell’Ateneo di concetti più importanti per i cittadini come il dovere dell’Università di informare e coinvolgere i cittadini nelle ricerche che si fanno a Bologna, o l’impegno dell’amministrazione a garantire l’accesso aperto ai risultati delle ricerche finanziate con fondi pubblici.
Un documento articolato che pone temi del tutto nuovi su un dibattito fino ad ora molto concentrato sull’elezione del futuro Rettore e sulla composizione degli organi accademici.
Quale sarà la risposta dell’Ateneo ai giovani ricercatori che rilanciano sul proprio futuro?
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