L'ennesimo colpo di piccone ai diritti sociali in Europa. I ministri del lavoro dei 27 Stati europei hanno raggiunto un accordo, ieri, sulla direttiva europea sull'orario di lavoro. Licenziando un testo (che ora
sarà sottoposto al parlamento europeo) che decreta la fine delle 48 ore settimanali - conquistate dall'Organizzazione internazionale dei lavoratori nel 1917 - e spalanca la porta a settimane lavorative di 60, persino 65 ore.
Ha vinto, di fatto, la linea a lungo perseguita dalla Gran Bretagna, la cui legislazione dal 1993 prevede la possibilità di avvalersi del diritto di opting out, attraverso cui singoli lavoratori e imprese possono sottoscrivere 'liberi' accordi (con quali rapporti di forza è facilmente immaginabile) per modificare 'orario di lavoro. Con la decisione di ieri, l'opting out diventa norma generale per tutti gli stati membri. I negoziati per aumentare l'orario di lavoro settimanale erano in corso da qualche anno. Al blocco capitanato dal Regno Unito (e sostenuto anche dalla Germania e della maggior parte dei nuovi stati
membri) si è sempre opposto quello costituito da Francia, Spagna e Italia (in compagnia di Grecia, Cipro, Belgio e Lussemburgo). Con l'avvento di Berlusconi, l'Italia ha di fatto abbandonato il fronte
della difesa dei diritti sociali, mentre Sarkozy in Francia ha fatto dell'orario di lavoro una merce di scambio il collega britannico Gordon Brown: la Francia avrebbe approvato l'allungamento dell'orario di
lavoro, qualora la Gran Bretagna avesse accettato la parificazione dei diritti per i lavoratori interinali. E così ieri è andata.
I ministri dei 27 Stati hanno approvato infatti una seconda direttiva, che decreta parità di trattamento (su salario, congedo e maternità) tra lavoratori 'in affitto' e dipendenti. Fatta salva comunque la possibilità di deroghe, qualora vi sia un accordo in tal senso con le parti sociali (come già accade in Gran Bretagna).
Le due direttive sono state approvate a maggioranza qualificata, con la contrarietà di cinque paesi (Spagna, Belgio, Grecia, Ungheria e Cipro).
Ora dovranno passare al vaglio del parlamento europeo, traghettato dalla presidenza slovena a quella francese. La commissione europea applaude, mentre la Confederazione dei sindacati europei (Ces) parla di un «accordo inaccettabile, su cui daremo battaglia al Parlamento europeo», pur apprezzando la direttiva sugli interinali. E non si è fatto attendere il commento del nostro ministro, Maurizio Sacconi, che anche ieri è tornato a parlare della necessità di una «chirurgica deregulation
del mercato del lavoro»: «Ora è importante che il parlamento europeo possa ratificare rapidamente questo accordo e che esso trovi poi rapida attuazione nella legislazione dei singoli paesi membri».
Con la nuova direttiva, gli Stati membri potranno modificare la propria legislazione per consentire ai singoli lavoratori di sottoscrivere accordi individuali in materia di orario di lavoro con i propri datori
di lavoro. Un colpo di piccone alla contrattazione dunque, e un'incentivo netto ai rapporti di lavoro individualizzati. L'orario di lavoro potrà arrivare fino a 60 ore settimanali, 65 per alcuni
lavoratori, come i medici. E il numero di ore viene considerato come media, che significa che la settimana lavorativa potrà arrivare a 78 ore.
Ma non è tutto. Perchè la direttiva riscrive anche il cosiddetto «servizio di guardia», il periodo cioè durante il quale il lavoratore è obbligato a tenersi a disposizione, sul proprio luogo di lavoro, in
attesa di essere chiamato. Fino ad ora questo periodo (che può essere di svariate ore) era considerato tempo di lavoro, dunque retribuito. I ministri europei hanno deciso invece che, per esempio, stare al Pronto soccorso di guardia senza essere chiamati non sarà più lavoro
retribuito. Massimo Cozza, segretario nazionale Cgil medici, lancia l'allarme. Ma su questo Sacconi ha rassicurato: «In Italia la parte inattiva del turno di guardia resterà orario di lavoro».
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