In continuità con un percorso di autorganizzazione che va avanti da anni, dopo il successo della MayDay di Milano decine di migranti si sono ritrovati in una vibrante assemblea il 1 giugno per discutere della situazione che si è aperta con i provvedimenti approvati e discussi dal nuovo governo.
Non è un buon inizio, ma da chi ha costruito la propria fortuna politica sulla pelle dei migranti era difficile aspettarsi altro. Il clima di razzismo che le campagne politiche e mediatiche hanno prodotto preoccupa e ha spinto a parlare anche chi fino ad oggi aveva taciuto, considerando ‘normale’ subire la diffidenza e i maltrattamenti che quotidianamente i migranti vivono in questo paese: è del resto da anni che andiamo denunciando lo strisciante razzismo istituzionale che caratterizza il meccanismo di gestione della legge Bossi-Fini, testimoniato dalle attese infinite per avere documenti che spettano di diritto, la discrezionalità amministrativa, la rapina delle Poste e dei contributi, i maltrattamenti subiti negli Uffici Stranieri di tante questure.
I migranti sanno che quello che oggi occupa le prime pagine dei giornali non è una novità, ma vivono sulla loro pelle il peggioramento di questa situazione e il senso di aperta legittimità che viene attribuito a questi atteggiamenti dalla campagna anti-clandestini e anti-rom. I migranti reclamano rispetto, ma sanno che il senso delle parole come democrazia e razzismo si è perso da tempo, perché se oggi il ministro degli interni Maroni di fatto giustifica gli attacchi incendiari contro i rom, il candidato dell’opposizione aveva aperto da sindaco la caccia ai rom e ai romeni come risposta a fatti di cronaca.
Dopo aver analizzato e discusso il DL e il DDL approvati dal governo, i migranti in assemblea sono arrivati ad alcune considerazioni:
1. Entrambe i provvedimenti costituiscono un peggioramento della situazione, che si colloca però pienamente all’interno dell’impianto della Bossi-Fini;
2. I dispositivi fondamentali della Bossi-Fini non sono modificati da questi provvedimenti;
3. Dato il confine sottilissimo che a causa del legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro esiste tra regolarità e irregolarità, questi provvedimenti hanno la funzione ‘politica’ fondamentale di indicare i migranti in genere come potenziali nemici e criminali;
4. Questi provvedimenti hanno lo scopo di minacciare e spingere i migranti nella paura e nel silenzio, a partire dai loro posti di lavoro, e in questo modo di azzerare le domande portate avanti in autonomia in questi anni;
5. Questi provvedimenti chiamano in causa anche tutti i cittadini, le lavoratrici e i lavoratori italiani, perché è anche a loro che il governo si rivolge indicando i migranti come nemici.
Non crediamo che questi provvedimenti servano ad allontanare dall’Italia i migranti irregolari, sebbene prevedano una stretta nelle espulsioni – comunque di difficile attuazione. I lavoratori migranti, con o senza permesso, costituiscono ormai in diversi settori produttivi percentuali fondamentali di forza lavoro, producono una quota importante del PIL italiano, versano contributi e pagano tasse a livello locale e nazionale, consumano. Questi provvedimenti non servono a mandarci via, servono invece a potenziare un dispositivo di inclusione differenziale, per avere a disposizione lavoratori, regolari e irregolari, costretti al silenzio e costantemente ricattati e ‘a disposizione’ per ogni tipo di lavoro: nei campi, nei cantieri, nei servizi, nelle fabbriche, nelle case.
La contrapposizione tra regolari e irregolari è dunque del tutto falsa, mentre il peggioramento delle condizioni dei lavoratori migranti coinvolgerà anche gli altri lavoratori: anche quelli che oggi si sentono più 'sicuri' grazie a questo clima non riceveranno nessun aiuto per migliorare le loro condizioni da questi provvedimenti. Il problema non è la solidarietà, il problema è che circondati da lavoratori più deboli, scopriranno di essere diventati più deboli anche loro. Di fronte a problemi reali hanno in cambio paura. E intanto l'insicurezza resta: sul posto di lavoro, nella precarietà dilagante, nelle difficoltà economiche.
Consapevoli della loro forza e importanza in questo paese, i migranti riuniti in assemblea hanno dunque discusso la prospettiva di uno sciopero del lavoro migrante, che sappia colpire lì dove si basa il meccanismo della Bossi-Fini, mai messo in discussione anche dalle timide proposte del precedente governo: il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro. Sono state molte le testimonianze dirette di lavoro in cooperative, nel lavoro di cura, in industrie metalmeccaniche: tutte hanno affermato che il legame tra permesso e lavoro costringe i migranti - regolari e non - ad accettare ogni condizione, e costituisce un grande potere di ricatto nelle mani dei padroni, siano essi imprenditori o semplici famiglie. Lo testimoniano le centinaia di migliaia di lavoratori 'regolarmente' in nero chiamati clandestini, che lavorano privi della minima sicurezza e di ogni diritto e che mandano avanti una parte consistente dell'economia di questo paese.
In troppi di questi tempi hanno gridato allo scandalo verso questi nuovi provvedimenti, senza vedere che essi confermano e rafforzano il meccanismo precedente. La lotta contro la loro definitiva approvazione e applicazione deve dunque essere in continuità con le lotte che i migranti hanno portato avanti in questi anni. Non vogliamo la permanenza ‘temporanea’ nei CPT anziché i proposti 18 mesi: vogliamo la chiusura di tutti i CPT. Non vogliamo sanatorie selettive per i migranti ‘buoni’: vogliamo la regolarizzazione permanente slegata dal lavoro e dal salario. Non vogliamo che la clandestinità sia reato per chi entra illegalmente in Italia, né aggravante (un limpido esempio di razzismo e doppio diritto): vogliamo la libertà di movimento, il diritto di restare, una legge sul diritto d’asilo, la fine dell’ipocrisia di leggi che producono e minacciano clandestinità per favorire lo sfruttamento.
Le testimonianze di domenica 1 giugno hanno dunque confermato quello che si è visto per le vie di Milano il 1 maggio e che ha aperto la strada per una lotta comune: si può lottare insieme, italiani e migranti, a partire dal protagonismo dei migranti si può reagire e sconfiggere la paura e la solitudine di una condizione migrante, operaia e precaria che è il vero obiettivo di queste leggi. Per questo i migranti hanno deciso di continuare la mobilitazione e iniziare un percorso di assemblee verso una una grande manifestazione cittadina sabato 5 luglio.
Una manifestazione che rompa questo clima di costanti minacce contro tutti i migranti, e che nel contrastare il nuovo clima politico riaffermi con forza quanto i migranti vanno reclamando da anni: rompere il legame tra permesso di soggiorno e lavoro, regolarizzazione subito, chiudere i CPT, no al reato e all’aggravante di immigrazione clandestina.
Su questo facciamo appello a tutte le associazioni, i movimenti, i lavoratori e le lavoratrici che vivono a Bologna.
Non è il momento di avere paura.
COORDINAMENTO MIGRANTI BOLOGNA E PROVINCIA
Per adesioni:
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