Revisionismo storico bipartisan

Via Almirante da Bologna, ieri oggi e domani

Se sui media ufficiali c’è sicuramente un atteggiamento superficiale sul "revisionismo toponomastico", per noi invece è importante trasmettere alle giovani generazioni elementi di memoria utili per comprendere anche la situazione odierna. Da questo punto di vista, ci sembra opportuno raccontare alcune “accoglienze” che vennero fatte a Bologna al leader dei fascisti italiani Giorgio Almirante e un po' di storia su chi era realmente Marcello Bignami, il suo "federale" sotto le Due Torri. Ci abbiamo aggiunto un pizzico di epica con il racconto della vicenda del Cantagallo.



5 giugno 2008 - Centro di documentazione dei movimenti "F. Lorusso - C. Giuliani"

Almirante fiamma Posto che un colpo di becchisia avesse lasciato un segno indelebile, fino a qualche anno fa, nei confronti del fascista (torturatore di partigiani) Giorgio Almirante, avremmo al massimo tollerato l’intitolazione di uno scarico fognario o di una canaletta di scolo.
Oggi, che la politica ama definirsi bypartisan e dialogante, le cose stanno molto diversamente. La destra di governo che cerca di far sfoggio di moderatismo nasconde in realtà una concezione “estremista e minacciosa” della convivenza civile.
C’è il pericolo vero che, attraverso un’operazione sottile, ma molto viscida, si voglia far passare normali cose che normali non sono, come la legittimazione del fascismo italiano. Attraverso questa smania sulla toponomastica si cerca di riaccreditare il fascismo nell’alveo delle culture politiche del nostro paese, smantellando il valore dell’antifascismo e quel che resta della cultura della Resistenza.
Ha cominciato il neosindaco di Roma Alemanno e poi, in diverse città italiane, per emulazione, è uscita la “proposta indecente” di intitolare una via o una piazza a Giorgio Almirante (a volte infarcita dall’ipocrisia bypartisan di accompagnarla con una via intitolata a Berlinguer, a Fanfani o a Craxi).
Anche a Bologna non poteva mancare un simile scenario: Alleanza Nazionale propone una strada per il caporione missino e il PD locale cerca di intercettare la “dirompenza” della proposta annacquandola con il suggerimento di intitolare una via a Marcello Bignami, esponente di spicco della destra missina bolognese (prima dirigente del FUAN, poi dell’MSI e di AN). Il figlio di Bignami, attualmente in consiglio comunale, accetta l’assist “democratico” e applaude alla risposta del sindaco Sergio Cofferati a un’interpellanza dei consiglieri di AN e Forza Italia a Palazzo d’Accursio.
Queste le parole di Cofferati: “Marcello Bignami era un uomo di destra, appassionato della politica della sua città… Ha contribuito come altri e con altri a dare senso compiuto alla dimensione democratica, della quale oggi Bologna giustamente va orgogliosa… E’ stato una persona che ha sempre guadagnato sul campo il rispetto che gli è stato portato…”.
Non sappiamo chi sia il ghost writer di Cofferati, ma lo “scrittore fantasma” che ha redatto, per l’occasione, il suo intervento è lontano anni luce da Bologna come lo è il sindaco, altrimenti avrebbe saputo che il “guadagnarsi sul campo il rispetto” di Marcello Bignami è stato costellato, alla fine degli anni Sessanta e all’inizio degli anni Settanta, da azioni squadristiche davanti alle scuole superiori bolognesi e all’Università, insieme a un manipolo di camerati (di cui era il capo) che rispondeva all’insorgenza del movimento studentesco con mazze, spranghe e tirapugni.
Quindi, se Almirante era un fascista “fucilatore di partigiani”, Bignami era un fascista “sprangatore di studenti”.

ALMIRANTE FU CACCIATO DA BOLOGNA
Se sui media ufficiali c’è un atteggiamento superficiale su questi temi, per noi è importante, soprattutto per le giovani generazioni, trasmettere degli elementi di memoria molto utili per comprendere anche la situazione odierna.
Da questo punto di vista, non è male raccontare alcune “accoglienze” che vennero fatte al leader dei fascisti italiani nella nostra città.
La prima si verificò nel 1969, quando, all’annuncio di un comizio di Giorgio Almirante in Piazza Maggiore una larga parte della città si sollevò. Migliaia di studenti, operai, ex partigiani e antifascisti impedirono l’ingiuria alla Resistenza e resistettero per ore alle cariche della Polizia in tutte le strade del centro storico.

La seconda avvenne ai primi di giugno del 1971, nell’area di sosta dell’Autostrada del Sole Bologna-Firenze, al Cantagallo, nelle vicinanze di Casalecchio di Reno.
Un barista dell’autostazione vide Almirante con i suoi uomini avvicinarsi al banco dell’Autogrill per mangiare, fece girare la voce e tutti i lavoratori (dai baristi ai benzinai) incrociarono le braccia e scesero in sciopero: “Né un panino né una goccia di benzina al fucilatore di Partigiani”, fu il passaparola.
Forse, Almirante e i suoi non avevano considerato che il Cantagallo distava pochi chilometri da Marzabotto, il paese martire per la strage nazista del 1944, o forse non pensavano che, pur se erano passati 27 anni da quel massacro di innocenti, l’orrore e il ricordo della complicità dei fascisti non si erano ancora cancellati.
Almirante se ne dovette andare senza nemmeno un panino e per il pieno di benzina dovette rivolgersi ad un’altra stazione di servizio.
Quella insolita forma di protesta sollevò grande scandalo e si impadronì delle prime pagine dei giornali per diversi giorni, ma anche i fascisti decisero di rispondere. Qualche giorno dopo, un gruppo di squadristi missini, guidati dal parlamentare modenese Pietro Cerullo, si presentò al Cantagallo per la rappresaglia. Anche questa azione trovò una risposta adeguata e alcuni fascisti in fuga, lasciati a piedi anche dalla loro auto, furono fermati dalla polizia in autostrada.
Dell’episodio del Cantagallo si parlò anche nel processo contro l’organizzazione neofascista Ordine Nuovo; infatti, nei verbali, si ritrova la dichiarazione rilasciata da Martino Siciliano (un vecchio amico di Delfo Zorzi, con cui militava nella cellula di Ordine Nuovo di Mestre), durante il suo interrogatorio del 20/10/1997: "....ricordo benissimo l'episodio dell'autogrill Cantagallo che risale all'inizio degli anni '70 e a seguito del quale i camerieri, riconosciuto Almirante proclamarono subito uno sciopero di protesta. Ricordo anche che Almirante si era fermato presso l'autogrill di ritorno da una manifestazione politica, mi sembra in concomitanza con qualche manifestazione elettorale. Il nostro ambiente subì l'episodio come un affronto non solo per l'M.S.I. in quanto tale, ma anche per Ordine Nuovo che era rientrato nel M.S.I. e che vedeva inoltre nell'on. Almirante, benché non sulle nostre posizioni, un simbolo per tutta la destra. Si discusse quindi, in Via Mestrina, sulla possibilità di dare una risposta forte a tale affronto e Zorzi, in particolare, progettò la collocazione da parte del nostro gruppo di un ordigno esplosivo all'esterno dell'autogrill, collocandolo in particolare in prossimità di tubi o bombole di gas al fine di aumentare la potenza dell'esplosione. Il progetto si arrestò in quanto l'M.S.I. prese una propria autonoma iniziativa che si concretizzò in una spedizione punitiva all'Autogrill capeggiata da Pietro Cerullo, che all'epoca era uno dei responsabili giovanili del Partito a livello nazionale. La spedizione punitiva ebbe notevole risalto in quanto sfociò nel danneggiamento dell'autogrill e in tafferugli con i camerieri che erano stati responsabili dell'episodio contro Almirante e di conseguenza un nostro ulteriore intervento, per d ipiù di quella gravità, avrebbe finito col mettere in difficoltà il partito in cui eravamo ormai inseriti. Quindi, dato il notevole risalto che ebbe l'iniziativa condotta dall'on. Cerullo, abbandonammo il nostro progetto".

Ci fu grande solidarietà attorno ai lavoratori del Cantagallo, ma questo non impedì che 16 lavoratori dell’Autogrill fossero denunciati. Per raccogliere fondi per il processo, il Canzoniere delle Lame incise al volo un 45 giri, scritto da Janna Carioli e Gianfranco Ginestri, che raccontava i fatti di quella giornata, per poi regalarlo ai lavoratori dell’autostazione. Il disco venne venduto “sottobanco” dagli addetti alle pompe di benzina e dai baristi.
Attraverso il passaparola si seppe in tanti luoghi che esisteva questa canzone e parecchia gente si recò al Cantagallo apposta per acquistarlo.
Due anni più tardi, i sedici lavoratori incriminati furono assolti.
Ecco, di seguito, il testo della canzone di Janna Carioli

La difesa della razza Allarmi siam digiuni

Era giugno e faceva un gran caldo
Almirante affamato sbuffava
Di mangiare a Bologna sperava
E al suo autista ordinò di frenar
Fermò al Motta di Cantagallo
Per pranzare e per fare benzina
Ma il gran caldo di quella mattina
Per un pezzo dovrà ricordar
Coi suoi bravi sedette era stanco
Poi si alzò per andare nel bagno
Ma lo vide un barista compagno
E la lotta improvvisa scattò

“C’è Almirante” si sparge la voce
è arrivato coi suoi camerati
e si aspettan di essere serviti
ma oggi in bianco dovranno restar
Basta un cenno e tutti i compagni
Dal self service ai distributori
“Per fascisti e fucilatori”
gli gridavan “qui posto non c’è.
Marzabotto è ancor troppo vicina
Faccia presto ad alzare le suole
Nelle fogne può dir quel che vuole
Ma a Bologna non deve parlar”.
Fu così che schiumante di rabbia
Se ne andò la squadraccia missina
Pancia vuota e senza benzina
Cantagallo dovette lasciar

Era giugno e faceva un gran caldo,
ma che caldo che caldo faceva
Almirante affamato spingeva
nelle fogne a piedi tornò.
Ed adesso, com’è naturale,
“Il Carlino” offeso si lagna.
“Poc da fèr mo’ què a Bulagna
pr’i fasesta an’gn’è gnanc un panein.
(poco da fare, ma qui a Bologna,
per i fascisti non c’è nemmeno un panino)

Sulla vicenda del Cantagallo anche Piero Nissin scrisse una canzone, pubblicata in "Canti di lotta dura" (1974). Antonio Giordano la cantava assieme a Nissim nel Teatro Operaio e poi con il Canzoniere di Salerno. Molti la considerarono più efficace per i suoi contenuti. Noi ve la proponiamo, sia con la pubblicazione del testo sia con un file audio che si può scaricare.

Il manifesto di Almirante torturatore di partigiani Almirante al Cantagallo

L'altro giorno sull'autostrada
sul versante che porta a Bologna
viaggiava un topo di fogna
affamato voleva mangiar

arrivato che fu al Cantagallo
ha di fronte un bel ristorante
memo male pensava Almirante
così almeno potremo mangiar

tutti fermi le braccia incrociate
non si muove nessun cameriere
niente pranzo per camicie nere
a digiuno dovranno restar

torna in macchina il boia Almirante
e si appresta a fare benzina
ci spiace quest'auto è missina
e cominciano a scioperar

questa storia esemplare è finita
ma rimane nella mente e nel cuore
di chi lotta contro i fascisti
con i fatti e non a parole

L'altro giorno sull'autostrada
sul versante che porta a Bologna
viaggiava un topo di fogna
a digiuno dovette restar

SCHEDA: IL MANIFESTO DELLA MORTE
Una mattina di maggio del 1944, nei paesi sopra Grosseto (nell´alta Toscana) che avevano subito l’occupazione nazista apparve, affisso ai muri, un manifesto dove era stampato l´ultimatum rivolto il 18 aprile precedente da Benito Mussolini ai militari "sbandati" dopo l´8 settembre 1943 e ai ribelli saliti in montagna: “consegnatevi ai tedeschi o ai fascisti entro trenta giorni, oppure vi aspetta la fucilazione”. La minaccia di morte era allargata anche a chi avesse dato aiuto o riparo ai partigiani.
A causa di questo decreto legge, voluto dal duce e da Rodolfo Graziani, si produssero feroci rastrellamenti e una caccia all´uomo indiscriminata. Tra il 13 e il 14 giugno, a Niccioleta, un paese della Maremma, furono ammazzati ottantatré minatori.
Quel manifesto era firmato da Giorgio Almirante, allora capo di gabinetto di Fernando Mezzasoma, ministro della Cultura Popolare che curava la Propaganda della Repubblica Sociale Italiana.
Per lungo tempo Almirante ha negato la paternità del “manifesto della morte”, ma nel giugno del 1974, dopo accurate ricerche, venne alla luce un telegramma dell´8 maggio 1944, spedito dal ministero della Cultura Popolare all´indirizzo della prefettura di Lucca. Il ritrovamento era avvenuto negli archivi di Stato, il proclama era firmato Giorgio Almirante, e corrispondeva parola per parola al manifesto conservato a Massa Marittima.
Un foglietto giallo, tipico dei messaggi telegrafici di quel periodo, con il decreto di morte pronunciato nell´aprile da Mussolini. Il capo di gabinetto ne sollecitava l´affissione in tutti i comuni della provincia. Il funzionario che nel maggio del 1944 aveva mandato il telegramma nella tipografia Vieri di Grosseto per la stampa del manifesto s´era dimenticato di levare la firma di Almirante. Una distrazione che inchiodava il leader del Movimento Sociale alle sue pesanti responsabilità.
Almirante all’epoca del manifesto aveva trent’anni, il suo curriculum, prima dell’approdo al governo filonazista di Salò, vedeva una continuativa esperienza giornalistica, prima da caporedattore nel quotidiano “Il Tevere” e poi da segretario di redazione della “Difesa della Razza”, la rivista ufficiale dell´antisemitismo sulla quale scrisse articoli ispirati al più convinto "razzismo biologico".
Della sua carriera politica nel dopoguerra, all’interno del Msi, si sa molto di più e si possono ritrovare tracce su tantissime pubblicazioni storico-politiche.

Per ulteriori notizie sul caporione nero è consigliabile la lettura dell’articolo
"Via Giorgio Almirante, terrorista" sul sito di Gennaro Carotenuto