Guardate la foto che è apparsa sui giornali giovedì 15 maggio, dopo che a Ponticelli la popolazione aveva bruciato un campo nomadi. Sullo sfondo del cielo violaceo il fumo sale dall´incendio, copertoni di gomma immondizie e pompieri che cercano stancamente di spegnere l´incendio. A sinistra un edificio colorato, forse un centro commerciale che finge un´allegria impossibile in questo spazio desolato. In primo piano, rivolti verso il fotografo, un uomo e una donna gridano tenendo accanto alla bocca una mano come megafono. Un uomo magro con pochi capelli porta una maglietta decisamente brutta sulla quale si legge la scritta Gothic style. E una donna dal corpo sformato chiude le palpebre pesanti e rugose la bocca spalancata sdentata sostenuta dalla mano grassoccia e sgraziata. Secondo lo stereotipo che mostra i rom come poveri sporchi malaticci sdentati vestiti male sguaiati diremmo che sono zingari. Non lo sono anzi stanno gridando qualche urlo razzista di gioia rabbiosa contro gli intrusi le cui case stanno bruciando là in fondo.
E´ l´Italia del 2008, il paese che ha appena votato per Berlusconi.
Un paese in cui la scuola e l´università sono in rovina, in cui gli insegnanti vivono in condizioni di miseria e di precarietà, in cui centosessantamila giovani fanno la fila per poter partecipare alla
trasmissione televisiva più odiosa, un paese che non sa più nulla della sua storia e difatti ne sta ripetendo i capitoli più truci.
Torna alla mente l´anno 1936. Vinta la guerra d´Etiopia dove su larga scala ha utilizzato armi di sterminio della popolazione civile, il regime può dichiarare che l´Impero risorge sui colli di Roma.
Tutti gli italiani erano fascisti allora? Non proprio tutti, perché non lo erano i prigionieri politici, non lo erano gli esiliati, non lo erano i morti nelle patrie galere, e non lo erano pochissimi professori universitari (undici su diecimila) che rifiutarono di firmare fedeltà al regime.
Non proprio tutti, ma era fascista una maggioranza che sfiorava l´unanimità. L´avvenire appariva radioso, per il regime, fin quando, pochi anni dopo, l´alleato più potente decise di rompere l´equilibrio europeo e invase la Polonia. A quel punto, nel settembre del 1939, il caricaturale impero di Mussolini fu posto di fronte alla scelta, e non scelse. Fin quando si era trattato di sterminare con i gas venefici africani disarmati l´ardimento non era mancato, ma ora si trattava di fare sul serio. E Mussolini si cagava sotto. Si cagò sotto fino alla primavera successiva, quando la Wehrmacht occupò Parigi, e a quel punto Mussolini non potè più avere dubbi. La guerra era vinta, la Francia sottomessa, dunque si poteva entrare in guerra, e si poteva invadere la Francia. Il dieci giugno del 1940 il popolo ascoltò il discorso del Duce con entusiasmo decisamente inferiore a quello con cui aveva acclamato la proclamazione dell´Impero.
Il popolo italiano impiegò ancora tre anni, fino al marzo del ´43, per imparare la lezione. Ma ora l´ha dimenticata, perché trent´anni di rumore bianco hanno ridotto in poltiglia i suoi neuroni. C´è un film di Bergman che racconta il retroscena della formazione del regime nazista. Siamo nel 1923, e a Berlino c´è una coppia: David Carradine e Liv Ullmann si amano e vivono insieme in un piccolo appartamento procurato loro da amici. Poco alla volta il loro amore si trasforma in odio, la loro gioia si trasforma in nervosismo e angoscia. Loro non sanno che dalle pareti della loro casa filtra un veleno che si insinua nel loro cervello e nel loro cuore, non sanno che da un pertugio qualcuno filma la loro mutazione. L´uovo del serpente romperà il guscio dopo dieci anni di lento ma inesorabile
avvelenamento. Il popolo italiano è stato esposto a questo avvelenamento per trent´anni, e ora saluta il suo nuovo Duce, più soffice del cialtrone di Predappio, ma non meno pericoloso di lui.
Ci rivedremo solo al prossimo dieci giugno millenovecentoquaranta? Da questo incubo non si uscirà prima che abbia prodotto tutto l´orrore che porta dentro di sé? Cosa dobbiamo fare nel frattempo?
La forma totalitaria contemporanea è molto diversa da quella degli anni trenta, dal punto di vista della gestione del potere, per la semplice ragione che quella contemporanea, a differenza di quella passata, non si fonda sul consenso ma sulla saturazione, e quindi non ha bisogno di censura, dal momento che dispone della tecnica di produzione del rumore bianco. Non ci sarà impedito di esprimerci, dal momento che tanto nessuno ascolta perché i canali di comunicazione sono occupati, e l´attenzione sociale saturata.
Anzitutto dobbiamo definire i nostri obiettivi. Il primo obiettivo è quello di mantenere vive le condizioni dell´intelligenza etica e di mantenere attiva una minoranza capace di comprensione e di comunicazione.
Nella dimensione cittadina possiamo creare le condizioni di una pausa nell´incalzante ritmo dell´imbarbarimento, e possiamo sperimentare forme di vita che serviranno come punto di partenza per l´epoca che seguirà la barbarie.
DISEGNARE UNA NUOVA GEOGRAFIA POLITICA
Tra i nostri obbiettivi non c´è quello di ricostruire la sinistra né quello di salvaguardare qualche bastione locale di sinistra, ma quello di scoprire in che modo la società potrà organizzarsi in modo autonomo partendo dai suoi saperi e dalle sue competenze.
La democrazia rappresentativa non è in crisi, essa è defunta da un pezzo. Permangono i suoi rituali, e alcuni spazi che essa apre vanno utilizzati, ma essa non svolgerà mai più una funzione socialmente utile. Le forze politiche della sinistra hanno creduto che la democrazia rappresentativa avesse qualche funzione socialmente utile, e hanno pensato che fosse possibile esercitare governo senza diventare strumento volontario o involontario della violenza capitalista: la loro illusione ha prodotto il risultato del 13 e 14 di aprile.
Oggi, la prima operazione da compiere è quella di disegnare una nuova geografia politica, di ridefinire le caratteristiche del campo in cui si gioca. La percezione del campo politico novecentesco era dominato dall´opposizione fondamentale tra destra e sinistra. Questa opposizione non è superata, se intendiamo con quelle parole il fronte degli sfruttatori e quello degli sfruttati, ma oggi la rappresentazione politica non ha alcun rapporto con la contrapposizione sociale. Quello che è successo negli ultimi anni ha incrinato fortemente l´immagine di assimilazione della sinistra con il campo degli sfruttati e, d´altra parte, non si possono identificare gli sfruttatori soltanto nel campo della destra.
Ciò vuol dire che non dobbiamo essere succubi di una mappa politica che non descrive più in alcun modo il territorio, e vuol dire che su un punto occorre essere chiari fin dall´inizio: non collochiamo la lista che intendiamo presentare entro le linee della geografia politica esistente, perché quella geografia intendiamo scompaginarla, e da quella mappa ci proponiamo di uscirne. Ciò vuol dire che la nostra lista non è "alleabile", non è disposta ad allearsi con nessuno dei due blocchi PD o PDL.
NON SOLO ANTICOFFERATIANI
Il nostro obiettivo è quello di dare le gambe a un´idea di città "aperta e viva", non di spostare a nostro favore qualche equilibrio secondario rimanendo testimoni impotenti di un governo della città, asservito ai poteri forti e affogato nello stagno di una percezione della paura da lui stesso alimentata.
In subordine, il nostro scopo è quello di costituire un´opposizione al governo cittadino e alla "minaccia" del proseguimento di altri 5 anni di azione amministrativa (quale?) sotto lo scettro di Sergio Gaetano Cofferati.
Per essere chiari: per nessuna ragione ed in nessun momento daremo indicazione di voto per le forze politiche che intendono ancora appoggiare (o puntellare) il peggior sindaco della storia di Bologna e per chi ha reso possibile l´attuale stato di agonia della città.
Chi è stato corresponsabile del sindaco più autoritario che si è visto sotto le Due Torri non potrà, in nessun caso, essere considerato da noi come il minor male. Dove sta la differenza con la destra rispetto al mix di autoritarismo, di razzismo e di subalternità agli interessi economici delle banche e dell´automobile, che ha caratterizzato il governo di Bologna negli ultimi anni?
Non ci proponiamo di gestire pacificamente gli equilibri che si sono consolidati fino a soffocare la dinamica sociale, ci consideriamo radicalmente alternativi al sistema di potere che ha asfissiato la vita cittadina e ci proponiamo di avviarne la sua scomposizione.
Questo significa che la nostra iniziativa cittadina non deve proporsi semplicemente in termini di buona amministrazione, ma deve farsi carico della gravità estrema della situazione generale, e proporsi come officina delle idee per una nuova politica, sperimentando nella dimensione locale esperienze di autonomia dalla violenza del capitale. Dobbiamo trasformare un´esperienza amministrativa in un esperimento di reinvenzione della politica, di fuoriuscita dall´epoca della barbarie economicista.
Qualcuno può obiettare che questo non è un programma di amministrazione della città ma di sperimentazione di un modello politico. In effetti è proprio così, ma il compito di aprire la strada a un nuovo processo di autorganizzazione sociale e di liberazione dell´ambiente cittadino dalla violenza economica neoliberista può riattivare energie che rischierebbero di spegnersi, può attrarre una larga parte di cittadine e cittadini.
La presentazione di una lista indipendente a Bologna può ottenere consenso sulla base della sua opposizione alla gestione Cofferati, ma sarebbe pericoloso e sbagliato identificarci come gli anticofferati.
Occorrerà rapidamente liberarsi dal riferimento agli anni precedenti, trattare l´attuale sindaco come l´imbarazzante residuo di un passato triste e provinciale, per caratterizzarci in base a un´immagine autonoma, per produrre un´immagine tutta proiettata in avanti, oltre le vecchie storie della sinistra, per proporre un orizzonte condivisibile da larghi settori dell´opinione pubblica cittadina.
La lista a cui pensiamo dovrà caratterizzarsi - nella sua composizione interna, nel suo linguaggio e nelle sue proposte, come una lista europea, innovativa, postmoderna e postindustriale.
Non parleremo al governo di Roma del quale disconosciamo la legittimità storica, e ci proponiamo di entrare in sintonia con l´opinione antifascista e antiberlusconiana che nella città è maggioritaria.
QUALI SONO LE NOSTRE LINEE PROGETTUALI E QUALE DI CONSEGUENZA L´IMMAGINE
CHE VOGLIAMO PROIETTARE?
Fino ad ora, l´iniziativa politica di alcuni di noi (dentro e fuori le istituzioni) si è caratterizza agli occhi della cittadinanza come quella dei difensori dei deboli e degli oppressi. E´ una caratterizzazione nobile e indispensabile alla quale per nessuna ragione al mondo dobbiamo rinunciare, e che non deve affievolirsi in nessun momento. Ma se pure questa immagine ci permetterebbe di raccogliere un consenso elettorale sufficiente per avere una rappresentanza nel prossimo consiglio comunale, non è sufficiente per presentarci come forza che aspira ad avere i numeri per trasformare questa città.
E´ questo invece il passaggio concettuale e politico che dobbiamo compiere nei prossimi mesi.
Dobbiamo presentarci come il nucleo progettuale di una città europea, che vuole parlare all´Europa per chiedere scusa dello spettacolo indecoroso che il paese Italia sta dando di sé, ma anche per chiedere con forza all´Europa di abbandonare le sue politiche liberiste, restrittive nei confronti della pressione migratoria e stitiche nei confronti dell´innovazione sociale.
La nostra idea di Bologna è quella di una città nuova, capace di accogliere gli studenti fuori sede e i lavoratori immigrati, ma anche capace di lanciare progetti produttivi e sociali che siano all´altezza delle sfide post-industriali e neo-moderne.
Dobbiamo insistere molto su questo punto: una città che voglia essere innovativa, in grado di superare l´industrialismo mortifero non è affatto in contraddizione con una città solidale, capace di accogliere e di integrare.
INQUINAMENTO ZERO
Il tema che dobbiamo porre al centro della nostra azione politica è quello dell´ambiente. La città di Bologna è diventata uno dei luoghi più inquinati e pericolosi per la salute fisica e psichica dei suoi abitanti.
E´ nostra intenzione invertire la tendenza, portando anzitutto a piena realizzazione la volontà espressa nel 1984 dal 70% dei cittadini: liberare la città dalle automobili.
E´ nostra intenzione lanciare una campagna di riconversione totale del sistema di riscaldamento, sperimentando tecniche non inquinanti e abbandonando tendenzialmente l´uso di combustibili inquinanti nelle abitazioni. E´ nostra intenzione lanciare un piano di riconversione ecologica della produzione industriale cittadina.
Ci batteremo per avere una città che voglia essere tenera e piacevole da vivere, lenta nei suoi ritmi di vita e veloce nelle sue intuizioni innovative, questo non è affatto in contraddizione con il realismo dell´economia post-industriale e post-meccanica.
Il ceto economico dirigente della Regione Emilia Romagna e della città di Bologna è un ceto mentalmente pigro e passatista, legato a forme produttive antiche e inquinanti. Dobbiamo proporre (provocando uno scandalo nazionale e affrontando l´ira dei tanti che perpetuano la rendita dei loro interessi) l´allontanamento del Motorshow dalla città di Bologna. Quello spettacolo non è compatibile con gli interessi della città, non è compatibile con gli stili di vita e di civiltà che vogliamo promuovere, non è compatibile con una cultura di progresso e di buona vita.
Inquinamento zero può diventare uno slogan centrale di una campagna che si opponga alla tetraggine degli zeloti di Tolleranza zero.
Le nuove tecnologie al servizio di un ambiente in cui i ragazzi non respirino quotidianamente sostanze cancerogene.
In questo modo ci rivolgiamo alle sezioni dell´economia cittadina che non si riconoscono nell´industrialismo e nell´automobile, e possono capire il valore economico di una riconversione dell´intero sistema urbano verso le energie rinnovabili, verso la sperimentazione biotecnica, e possono intravvedere la possibilità di una nuova era dell´economia bolognese, un´era nella quale la meccanica di precisione cittadina si impegni a creare le infrastrutture di una città ad inquinamento zero e l´Università si impegni a dirigere la ricerca in direzione della vita buona.
IGNORANZA ZERO
La città di Bologna è stata sottoposta in modo programmatico alla paranoia securitaria, allo stress da inimicizia generalizzata. E´ nostra intenzione lanciare un progetto di educazione alla convivenza e alla tenerezza, moltiplicando i luoghi dell´incontro, finanziando le strutture di integrazione, sottraendo alla speculazione abitazioni per metterle a disposizione a costi accessibili.
La città che menava vanto di essere luogo della cultura e del sapere sta riducendosi a un luogo di barbarie e di ignoranza. Proprio a Bologna venne elaborata nel 1999 la carta che programmava la trasformazione dell´università europea in sistema aziendalizzato di sottomissione all´economia precaria, e di riduzione del sapere a sistema di competenze funzionali all´economia di profitto.
Perciò, a Bologna come dovunque, l´università sta morendo. E´ nostra intenzione avviare una reinvenzione del sistema di produzione e di trasmissione di sapere, creando luoghi che integrino l´Università riattivando le funzioni che essa ha perduto, coinvolgendo gli studenti in un processo di reinvenzione del sistema educativo che dappertutto sta cadendo a pezzi.
Noi vogliamo ridare alla città il gusto della sperimentazione tecnico-scientifica. Ripensando all´esperienza della Giunta Vitali, amministrazione che contrastammo per molte sue scelte politiche e sociali (in primo luogo per le politiche di privatizzazione), riconosciamo a quegli amministratori almeno la capacità di aprire spazi all´innovazione, come fu il lancio della rete civica Iperbole. Sicuramente quello fu il segnale di comprensione e di anticipazione dell´epoca Internet che stava arrivando.
La giunta Cofferati è stata in grado soltanto di distruggere o contenere forme di aggregazione sociale già esistenti, producendo al contempo ignoranza e aggressività.
L´UNIVERSITÀ PUNTO CENTRALE DELLA NOSTRA CAMPAGNA
Da quando lo spettacolo del nono centenario l´ha trasformata in un baraccone affaristico la qualità della ricerca e dell´insegnamento è precipitata. Il ceto accademico è il prodotto delle politiche clientelari del partito che ha sempre dominato la vita cittadina imponendo la sua ideologia il suo conformismo e la sua ignoranza. La funzione dell´Università è diventata quella di spremere soldi dagli studenti e di supportare le scelte conservatrici di un sistema produttivo antiquato e inquinante.
La carta di Bologna del 1999 ha sancito la subordinazione del sistema universitario europeo alla riproduzione di un´economia basata sulla precarietà e sul conformismo. Noi dobbiamo assumere come punto qualificante della nostra campagna il superamento della carta di Bologna, della politica del 3+2.
Dobbiamo mettere al centro il discorso sulla ricerca come fattore essenziale del progresso cittadino. Dobbiamo coinvolgere la massa dei contrattisti universitari, docenti e ricercaori precari, chiedendo loro di elaborare progetti tecnico-scientifici, progetti sociali, progetti artistico-comunicativi per un futuro libero dall´inquinamento, dallo stress e dall´intolleranza.