Polemiche “a go go” dopo il corteo del 4 dicembre contro Forza Nuova

Un nuovo caso Murri


21 dicembre 2001 - Susy Capezzolo

Martedì 4 dicembre, nel tardo pomeriggio, è partito un corteo antifascista per rispondere alla brutale aggressione, da parte di un gruppo di nazi, a tre ragazzi che tornavano dalla marcia della dignità dei migranti di sabato 1° dicembre. I cinquecento compagni si sono diretti lungo via Murri per compiere un’azione di “derattizzazione” di quella zona. Infatti, la manifestazione aveva il compito di disvelare che al numero civico 129 della strada, intitolata al famoso medico, era stata aperta una sede dei neo-fascisti di Forza Nuova. Non era un atto d’accusa di responsabilità di FN per il pestaggio del sabato precedente, ma ai seguaci di Fiore veniva addebitata la campagna d’odio e intolleranza nei confronti dei migranti. Altro obiettivo del corteo era quello di puntare il dito contro la maggioranza che governa al Comune di Bologna che, il giorno prima, aveva impedito di far votare in Consiglio Comunale un ordine del giorno di solidarietà ai tre ragazzi picchiati.
Con clima politico siffatto, è chiaro che episodi come quelli capitati in via Volturno possono trovare una sorta di immunità e di copertura.
Del resto, Forza Nuova di protezione, solidarietà e appoggio ne ha ricevuti da esponenenti di Alleanza Nazionale e Forza Italia che hanno asparamente criticato i vertici della Questura che averbbero permesso ai “no-global” di fare la loro cagnara antifascista, mentre i giovani virgulti di destra se ne stavano pacificamente a presidiare la loro sede.
Noi, con questo servizio fotografico vogliamo far vedere come sono andate le cose. In più, abbiamo deciso di pubblicare un sagace commento della mitica Susy Capezzolo (la morosa di tutte le Tute Bianche) che con la sua scaltra ironia sa trasformare un fatto di buia cronaca in un grazioso esercizio di graffiante letteratura.
Povero Alfredo! Quella sera tornò con l’immagine della sconfitta spalmata sul volto. L’intravvidi appena nel fumo provocato dall’esplosione dell’uscio di casa (fa sempre così quando scorda le chiavi). Mentre tentavo di estrarmi dalla coscia destra il blocco della serratura ancora rovente, pensai che dato il suo stato di evidente prostrazione non era il caso di fare domande. Per non ferirlo ulteriormente.
Fu lui a parlare. «Amore, siamo stati scavalcati a sinistra» e scoppiò in un pianto a dirotto.
Non ci fu verso di consolarlo ma tra i singhiozzi mi raccontò com’era andata: «Il corteo incazzatissimo si dirigeva verso la sede dei fasci per vendicare il pestaggio subito da quattro compagni ad opera di una squadraccia. Successe la settimana prima nel dopo manifestazione per i migranti in una stradina del centro. Arrivati in vista dell’obiettivo, trovarono il solito branco di sbirri bardati a guardia del covo, e con una gran voglia di menare i manganelli. Subito il “gruppo di contatto”, come lo chiamano loro, si fece avanti per vedere se fosse possibile una mediazione con i funzionari della DIGOS per far avanzare il corteo. Tentarono prima con un trucco che spesso aveva funzionato: l’offerta di un cesto ricolmo di palline di plastica colorata e specchietti. Niente. Portarono poi al loro cospetto tre compagni teatranti travestiti da re magi che recavano in dono rispettivamente: un femore di Bin Laden (made in Taiwan), un calendario della Ferilli, il portafogli del vicequestore sottrattogli con destrezza durante il tentativo delle perline».
Niente. A quel punto la decisione delle ex Tute Bianche fu rapida e determinata: sfondiamo. Partirono i fumogeni e i motori delle cinque autobotti Molotov con rimorchio alle quali, nel frattempo, era stato fatto il pieno. Solo quando videro Alfredo nel primo cordone allacciare il casco a Birillo, il suo tricheco, tutti capirono che si stava facendo maledettamente sul serio.
Ad un tratto l’incredibile: il solito gruppo misto di punkabbestia, millenaristi leninisti e altri cerebrolesi assortiti, sempre a rischio spranga, che normalmente si limitavano alla sterile provocazione, questa volta inaspettatamente si lanciarono in avanti. I punkabbestia coi loro sacchi di pulci al seguito, al grido di - Tavernello akbar!!- imbottiti di tritolo si fecero esplodere una volta a contatto con gli sbirri e fu strage.
Le migliaia di litri d’alcool che avevano in corpo investirono, in fiamme, i millenaristi leninisti (che questa volta a ragione bollarono i punkabbestia come “contraddizione in seno al popolo”) i quali vistisi ridotti a torce umane, la misero che era “il Fuoco della Rivoluzione” e si lanciarono dentro il covo dei fasci. Si estinsero così anche questi e l’intero palazzo che li ospitava nella propria fogna. Alfredo e i suoi erano sbigottiti da quanto successo ma per non passare da mollaccioni decisero di catturare l’unico nazi superstite che se la stava dando a gambe. Un fragoroso rombo di motori consigliò loro di buttarsi a terra e nel frattempo guardare come al rallentatore la loro sconfitta definitiva: gli anarcoinsurrezionalisti con il loro Boing 747 dirottato si buttarono in picchiata sul fuggitivo e lo beccarono in pieno. A quel punto quelli del dipartimento di urbanistica del Comune ritagliarono il quartiere dalla cartina della città.
Ma ora devo andare, il mio Alfredo è troppo triste e ha bisogno delle mie coccole.