Una corte federale censura Wikileaks

Il noto sito di "spiate" ai danni di agenzie governative e multinazionali è finito nel mirino di una corte federale che ne ha chiesto, di fatto, la cancellazione dal web. Per fortuna la rete sa come difendersi.
20 febbraio 2008 - Marco Trotta

Sta facendo discutere e molto, in rete, il caso di censura che ha colpito Wikileaks. Un sito da sempre oggetto di attenzioni governative di mezzo mondo perché offre ai navigatori la possibilità di pubblicare in forma anonima, dentro pagine accessibili e modificabili da chiunque come Wikipedia, documenti ed analisi riservati ("leaks" in inglese significa "spiate"), sottratti ad agenzie governative o multinazionali che non troverebbero spazio altrove sul web. Un sistema che aveva permesso di archiviare quasi 1,2 milioni di documenti e che fino a ieri erano raggiungibili all’indirizzo www.wikileaks.org. Nelle ultime 24, invece, una pagina bianca accoglie i visitatori a causa della decisione della corte federale di San Francisco che ha accolto la denuncia per diffamazione del gruppo bancario Julius Baer contro Wikileaks, reo a suo dire di aver pubblicato decine di documenti su operazione finanziare offshore poco pulite. Il tribunale ha ordinato all’operatore Dynadot LLC di scollegare i DNS, ovvero il sistema che permette di associare il dominio wikileaks.org al computer che fisicamente ospita il sito. A Dynadot, inoltre, è stato anche prescritto di "impedire che il nome a dominio che porta alla pagina web di wikileaks.org porti a qualsiasi altro sito o server diverso da una pagina bianca, fino a quando non riceverà nuovi ordini da questo tribunale". Una decisione che i responsabili di Wikileaks hanno definito "incostituzionale", tanto più perché il provvedimento sarebbe arrivato "poche ora prima, e per giunta via e-mail". Forse anche per questo, dopo un primo contatto con gli avvocati, la corte ha in parte rettificato la prima decisione ordinando il ripristino dei DNS e la rimozione dei documenti oggetto di indagine. Il provvedimento non ha comunque compromesso del tutto la visibilità del sito nella rete che è rimasto comunque accessibile dall’indirizzo numerico http://88.80.13.160 oggetto in queste ore di tam tam sulla miriade di siti che si stanno occupando del caso come wikileaks.be o cryptome.org. Una solidarietà che Wikileaks si è conquistato in un anno di attività e decine di scoop eclatanti, ispirati al gesto di Daniel Ellsberg, dipendente del governo federale statunitense che durante la guerra in Vietnam passò documenti riservati del Pentagono alla stampa. Nella stessa maniera Wikileaks pubblicò nel novembre 2007 le procedure operative segrete elaborate nel 2003 per la base militare di Guantanamo nel trattamento dei cosiddetti "prigionieri combattenti" e che è stato usato da numerose associazioni per i diritti umani nella denuncia di tortura e lesione del diritto internazionale. Circa un mese dopo sullo stesso sito appariva una inchiesta che accusava il governo USA di aver cambiato alcune pagine di Wikipedia che parlavano della base di Guantanamo e di aver diffuso nelle reti di network sociali notizie per farne propaganda benevola. Più di recente, invece, Wikileaks avevano pubblicato un documento della polizia tedesca per intercettare le telefonate fatte via Skype, il più noto tra i sistemi di telefoniva via internet. Ora lo staff legale di Wikileaks ha tempo fino a domani per rispondere delle accuse, alle quali il gruppo bancario Julius Baer potrà replicare entro il 26. La prossima udienza con il tribunale è fissata il 29 Febbraio e comunque vada ha già segnato almeno due risultati che in genere si ottengono in casi così eclatanti di censura. Il primo è che se il gruppo bancario Julius Baer voleva rivalersi contro la pubblicità negativa ottenuta dalla pubblicazione di quei documenti, in questa maniera l’ha semplicemente amplificata ottenendo che centinaia di siti ora li stanno ospitando o linkando dalle loro pagine. Il secondo ne è la consguenza, perché come amano citare quelli di Wikileaks sul loro sito, nella causa vinta contro il Pentagono per la pubblicazione di alcuni documenti riservati, il tribunale ha sentenziato a loro favore scrivendo che "soltanto una stampa libera ed non censurata può denunciare efficacemente l&_#8217;inganno di chi governa". Che è forse una riattualizzazione di quell’adagio che vuole la stampa come "cane da guardia" del potere e che oggi, grazie alla nuove tecnologie, sposta questa possibilità anche nei confronti dei cittadini collegati alla rete.