Cari amici,
da qualche giorno circola un appello "per la letteratura" firmato da
molti scrittori italiani che riguarda l'invito ad Israele come ospite ufficiale da parte del salone del libro di Torino. Lo potete leggere sul mio blognews dove trovate anche un'importante intervista col poeta Aharon Shabtai o su Nazione Indiana (dove c'è un interessante dibattito/polemica), o su Il primo amore di Tiziano Scarpa.
Sperando di interessarvi al dibattito, magari anche di stimolare un
vostro intervento, vi mando il mio...
Questo appello, pubblicato in rete dall´ottimo Tiziano Scarpa -
scrittore che mi è molto simpatico... (io sono un vero fan della
scuraglia) - e sottoscritto da molti - anche da alcuni di cui sono
amico, ho stima, persino affetto sincero - sulle ottime riviste "il
primo amore" e "Nazione Indiana", mi lascia perplesso per la sua
leggerezza, la sua cieca "obiettività", il suo freddo senso della
"democrazia".
Nel nome di quale idea della letteratura si parla? Penso subito ad
un´idea della letteratura astratta, inconsapevolmente (...?) e
colpevolmente funzionale ai sistemi di riproduzione e tutela del
controllo sociale.
Al potere, da sempre, serve un´arte inoffensiva che fornisca un´idea
del mondo pacificante e pacificata e magari metta anche in discussione
i meccanismi, sì... ma solo in maniera prudentemente astratta ed in
condizioni di apparente uguaglianza del diritto di parola.
Da sempre i sistemi delegano agli artisti il compito di rappresentare
libertà fittizia in sistemi sociali basati sul privilegio, in cui la
libertà è inesistente o estremamente sacrificata. Da sempre agli
artisti viene affidato il compito di rappresentare `liberamente´ le
frustrazioni e gli orrori di sistemi malati, inumani, oppressivi. Gli
artisti assolvono il compito di alleggerire la cattiva coscienza del
potere rappresentando in maniera innocua le sue malattie più orribili
e, per questo, venendone ricompensati con l´accredito a corte, alla
parola, ai media, al privilegio...
Niente di male... stiamo lavorando... dobbiamo campare... abbiamo famiglia...
ma che almeno qualche volta questa parola si ritorca contro... che almeno
si sfruttino gli spazi di visibilità per sforzarsi di avere una visione
critica!
Cari scrittori, vedete, io da sempre sono convinto (e per questo
eticamente indistruttibile) che il privilegio della parola pubblica
possa essere delegato soltanto da un popolo, una gente, un gruppo:
quello nel cui nome si è autorizzati a parlare. E che questo popolo
stesso ti tolga la delega nel momento in cui non lo rappresenti più,
nel momento in cui non viene assolto il debito. Sono convinto (ed ho
anche pubblicato un libro al riguardo), che quando un artista calpesta
in pubblico un metro quadro di mondo e si espone alla visibilità,
svolga il dovere di parlare in nome di qualcuno che l´ha incaricato.
Ogni artista, nell´atto creativo ed in ogni suo gesto pubblico, non
porta soltanto un´opera, ma, anche solo temporaneamente, aggrega un
popolo che lo ascolta, compra i suoi libri o va a vederlo in teatro e
nei luoghi dell´arte.
Qui, in questi luoghi, ognuno sceglie la propria committenza e ne porta
la voce trasformata dalla propria arte in opera, in sublime, in
necessario, in fantastico, in bello, in terribile...
L´arte è dunque per me è solo lo strumento tecnico di cui ci si è
dotati per rendere credibile socialmente la propria presenza -
sperabilmente etica.
E dato che la mia presenza è spesso dannatamente dissidente,
divergente, mi servo dell´arte per raffinare e mantenere la mia
credibilità pubblica, per non essere punibile nella mia pratica di
testimonianza e quindi continuare a percorrerla.
Per quanto mi riguarda (ma a questo nessuno è obbligato) il compito è
di trasportare la voce di chi non ha voce.
Per farlo bisogna però `transvivere´ oltre le proprie miserie
personali, diventare esemplare, trasformare il proprio Ego-Centrico in
Ego-Topico, calpestando con tale intensità quel metro quadro di mondo
da scavare un solco visibile, oltre sé stessi, riscattando i propri
limiti personali e quelli della società che ti vorrebbe invece
`funzionale´.
Poi si rientra tranquillamente nella propria miseria quotidiana, della
quale non si deve rendere conto a nessuno oltre sé stessi.
In questo senso la vostra firma è troppo leggera ed innesca un
meccanismo perverso il cui risultato è: "Vedete... qui siamo liberi di
parlare e di lasciar parlare..."
Niente di più falso e strumentale al potere. Niente di più acquiescente...
In nome di quale popolo state parlando?
Quando ci si astrae pronunciandosi in nome di una solo apparente
libertà, si perde il senso profondo delle cose. Io credo solo nella
libertà applicata, nell´etica concreta dei comportamenti quotidiani
privati e pubblici.
Quanti di voi, che avete sottoscritto l´appello, hanno rapporti con
quegli scrittori dissidenti e pacifisti di Israele che, anch´essi
totalmente israeliani, boicottano il sistema aggressivo e colonizzatore
e vengono per questo messi a tacere? Quanti di voi sostengono quegli
scrittori israeliani che disperatamente si oppongono? Ho l´idea che non
vi siate nemmeno posti il problema.
Ecco perché sostengo che questa firma sia troppo comoda, distratta,
inconsapevole ed incosciente. Perché sostiene un governo, non una
cultura. Un potere, non un popolo. Un brutto potere.... un brutto
governo... colonialista e sanguinario... che violenta ogni cultura. Anche
la propria.
Israele, come ogni sistema, si serve evidentemente dei suoi scrittori e
dei suoi artisti per poter avallare un´idea orribilmente falsa di stato
democratico, di pensiero e respiro dell´arte e dell´espressione.
Anch´io firmo e firmerò sempre per la libertà e la pace, per i diritti
alla terra ed alla vita, alla cultura, ma di tutti... non di uno contro
gli altri. E non di un potere.
Così immagino che questa firma sia stata posta da voi, scrittori, quasi
come un `dovere´ da assolvere velocemente, distrattamente perfino,
senza guardare troppo a ciò che Israele compie rispetto al popolo
palestinese. Sono convinto che nessuno di voi in questi giorni si sia
posto il problema di agire "con altrettanta forza e consapevolezza"
rispetto al dramma di Gaza, dove si continua a sterminare, dove
qualcuno subisce un´oppressione di tale portata che, senza dubbi, oggi
può essere indicata col termine di genocidio.
La vostra è una firma ciecamente `coraggiosa´, che manca totalmente di
coraggio e di sguardo.
E´ una firma superficiale che ci trascina in basso, che colpisce la
dignità di due popoli: quello palestinese e quello israeliano insieme.
E´ una firma POLITICA, ma non ETICA, che conforta l´arroganza di un
sistema basato sull´oppressione e sul potere economico, un sistema
sostenuto da questa Europa ipocrita ed altrettanto arrogante.
E´ l´occidente, amici... il comodo e confortevole occidente...
e chi non ci sta, scenda dal carro.
Non abbiatevene a male... ancora una volta sto solo cercando di pensare.
E, come sempre, mi conduce un istinto d´amore.
Infatti pubblico il vostro appello e invito chi lo condivide ad aderire...
chi non lo condivide ad opporsi...
e tutti voi a ripensarci (e quello sì, sarebbe un gesto di vero
coraggio)
Con immutato affetto,
Alberto Masala
> Leggi anche le considerazioni di Tariq Ali (scrittore anglo-pakistano) sul perche' non partecipera' al Salone del libro di Torino 2008