Del dramma del precariato si riempiono la bocca in molti. Nei fatti l'azione politica collettiva non istituzionale esclude, oggi, la questione lavorativa dal proprio orizzonte.
I sette operai assassinati dalla Tyssenkrupp a Torino sono morti nell'indifferenza generale di fronte a una strage continua, in assenza di successive reazioni radicali diffuse, operaie e politiche, che facciano presagire cambiamenti di rotta.
In "Appunti per un film sulla lotta di classe" Ascanio Celestini fornisce il suo contributo e lo fa raccontando le vicende di un lavoratore del più grande call center italiano, Atesia di Roma, e del collettivo autorganizzato di precari nato all'interno e sviluppatosi intorno alla rivendicazione dell'assunzione a tempo indeterminato.
Lo fa Celestini, a suo modo, attraverso appunti, abbozzi di discorso, frammenti non definitivi che di spettacolo in spettacolo costruiscono una narrazione aperta, in trasformazione.
Dal 17 al 20 gennaio - Sala Grande - Arena del Sole
http://www.arenadelsole.it/
APPUNTI PER UN FILM SULLA LOTTA DI CLASSE
uno spettacolo di e con Ascanio Celestini
e con Roberto Boarini (violoncello),
Gianluca Casadei (fisarmonica),
Matteo D'Agostino (chitarra)
Ritorna all’Arena del Sole uno dei più grandi affabulatori della scena italiana. Dopo La pecora nera Ascanio Celestini continua la sua indagine nella memoria del presente con uno spettacolo sull’odierno precariato. Frutto di un’inchiesta condotta tra i lavoratori di un call center romano, lo spettacolo ci conduce con ironia e surreale comicità, nel mondo drammaticamente reale del suo protagonista, un operatore di call center “mal” pagato a minuti di conversazione: più resta al telefono, più guadagna, ma oltre i tre minuti conviene troncare la chiamata perché l’azienda smette di pagarlo. Che lo chiami un maniaco sessuale o un fascista omofobo non ha importanza: quel che conta è raccogliere telefonate.
Note di Ascanio Celestini
A dicembre del 2005 incontro gli operatori di un call center dove lavorano quasi 4000 persone. Si chiama Atesia, è il più grande in Italia e uno dei maggiori in Europa. Poco più dell’1% sono assunti a tempo indeterminato, ma tutti gli altri sono precari. Almeno cinquanta tra loro si sono organizzati nel collettivo Precariatesia e si incontrano due volte a settimana in un seminterrato per studiare la legge 30, la cosiddetta riforma Biagi che in Italia ha istituito il lavoro a progetto. Alcuni fanno telefonate (out-bound), molti le ricevono (in-bound), qualcun’altro fa entrambe le cose. Quasi tutti lavorano a cottimo. Più restano al telefono, più guadagnano soldi fino a una soglia che si aggira attorno ai tre minuti oltre la quale conviene troncare la chiamata perché l’azienda smette di pagarli. Parlano al telefono a nome di operatori telefonici con clienti che si vogliono scaricare l’ultima suoneria di tendenza, rispondono per conto di aziende che imbottigliano bibite gassate o gonfiano reggiseno push-up. Sono i lavoratori squattrinati nascosti dietro ai numeri gratuiti che compaiono sui pacchi di pasta e di biscotti. Il loro guadagno è sempre meno di mille euro lordi al mese, ma spesso per non scendere sotto la metà di questo compenso medio sono costretti a fare anche tre lavori precari contemporaneamente.
Il call center sta nella periferia di Roma dove abito anch’io. Nello stesso edificio di un grande centro commerciale. Le persone che incontro fanno parte di un collettivo auto-organizzato e hanno già preparato scioperi ai quali hanno aderito anche il 90% dei lavoratori. Producono un giornale e cinque mesi prima hanno fatto un esposto all’ufficio provinciale del lavoro di Roma chiedendo un’indagine sulla natura del lavoro in azienda, sulla validità dei contratti che hanno firmato e sul rispetto delle norme di sicurezza. I firmatari dell’esposto sono quasi tutti licenziati o non-riassunti, ma restano a lavorare per il collettivo. Vanno davanti all’azienda, parlano con i lavoratori, gli spiegano quali sono i loro diritti. Incominciano a raccontare anche a me la loro storia e io li ascolto, li registro, scrivo appunti. Appunti attorno a un personaggio che potrebbe avere poco più di trent’anni, che potrebbe lavorare in un call center, che potrebbe vivere in un condominio qualunque della periferia romana dove sono nato. Dove vivo.
Il 1° maggio del 2006 con Matteo D’Agostino, Roberto Boarini e Luca Casadei cantiamo una canzone al concerto di piazza S. Giovanni. È il primo frammento che abbiamo scritto sull’argomento e alla fine del mese siamo al Piccolo Teatro di Milano con “Appunti per un film sulla lotta di classe”. Da poco in Italia ci sono state le elezioni. Berlusconi è stato sconfitto per pochi voti, ora c’è un governo di centro-sinistra. Una settimana dopo il debutto dello spettacolo il ministro del lavoro emana una circolare nella quale si distinguono i lavoratori out-bound dagli in-bound, i primi devono essere riconosciuti come veri e propri lavoratori subordinati, i secondi possono continuare a lavorare come precari se nel loro contratto è realmente indicato un progetto che li individua come lavoratori autonomi. A agosto dopo 13 mesi di ispezione, l’ufficio provinciale del lavoro di Roma dà ragione al collettivo. I lavoratori del call center Atesia devono essere tutti assunti a tempo indeterminato. L’azienda ricorre al tribunale regionale, il governo fa immediatamente un condono, la situazione si complica.
Così da settembre lo spettacolo deve cambiare nel tentativo di seguire i cambiamenti del lavoro precario in Italia. E mentre gli appunti aumentano, ci allontaniamo sempre di più dal primo tema del lavoro precario per andare verso quello della lotta di classe, un conflitto inevitabile in una società fatta di Prozac e Mulini Bianchi, di divi del cinema e chilocalorie. Gli appunti aumentano e il personaggio di questa storia incomincia a leggere Marx e la Settimana Enigmistica, ha una madre che supera la depressione pulendo il bagno, un fratello che dice le parole al contrario, un gatto misterioso e apparentemente stitico. Nel suo condominio vive una prostituta che puzza di copertone bruciato, un portiere con il figlio innamorato di donne anziane, Marinella che fa i turni di giorno al call center, ma la sua voce registrata è presente anche di notte. E poi c’è la fabbrica dei telefoni, il supermercato dove Dio va a fare la spesa, il bagno del centro commerciale frequentato dal fascista e soprattutto il telefono che squilla quando chiama il cliente che ha perso tutti i suoi soldi nella ricarica, il bambino che dice le parolacce o il maniaco che soffia nella cornetta. Tanti appunti che non vengono mai raccontati tutti insieme nella stessa replica. Appunti che cambiano e ai quali si affiancano le canzoni sul ladro che ruba nella casa di un altro ladro, sul disertore morto che non può fermarsi al semaforo rosso, sui partigiani che vanno a ritirare la pensione, sull’amore impossibile degli innamorati cardiopatici, sulla rivoluzione che inizia tra cinque minuti, sul bruco che vive nel buco…
Affianco alla borgata ci sta la città, o forse è il contrario. E in mezzo ci si muove il popolo.
Il popolo che è un bambino.
Si arrabbia per le ingiustizie, si commuove davanti al dolore, si illude e si innamora. Poi spenge la televisione e va a dormire sereno. Il popolo lavora, guadagna e spende. L'hanno convinto che l'economia funziona così. Bisogna far girare la ruota. Ma poi tra i neon del centro commerciale e i telefoni del call center qualcuno smette di girare. Forse è solo il bruco che esce dal buco, il cadavere che prova a resuscitarsi da solo. Forse è il ladro e si rende conto che non basta rubare ai ladri per pareggiare i conti. E infatti è un collettivo di lavoratori, ma è anche un pezzo di popolo. Christian dice "abbiamo incominciato perché non avevamo niente da perdere". Maurizio dice "quel posto è come il Titanic. Il transatlantico affonda e i passeggeri fanno finta di niente. Ma noi non affonderemo cantando".
Parole sante!
Ascanio Celestini