L'odissea dei rom rumeni

Lontani da Cofferati, non da Bologna

Ecco dove si sono spostati gli sgomberati del Lungoreno: in un ex birrificio in periferia. Dove vivono in condizioni peggiori di prima, lavorano al nero e muoiono. Cofferati inaugurò la sua famosa «svolta legalitaria», facendo sgomberare alcuni accampamenti lungo il fiume nel marzo 2005. A questo sgombero, in piena continuità con quanto accadeva con la precedente giunta di centrodestra, ne sono seguiti altri e le baracche si sono spostate via via sempre più lontano dall'asse della via Emilia, sempre meno visibili.

6 dicembre 2007 - Piano B

Sgombero accampamento rom La cerimonia funebre per Florin si è svolta all'ingresso del cortile dove si trova la baracca nella quale viveva insieme alla sua famiglia. Quella baracca di mattoni e lamiere che è andata a fuoco probabilmente a causa di un cortocircuito, una delle tante che affollano questa zona della periferia ovest di Bologna. La cerimonia è avvenuta su uno spiazzo fangoso sovrastato dalla tangenziale, confinante con un area militare dismessa e a ridosso del nuovissimo svincolo, ancora in fase di ultimazione, per l'aeroporto Marconi. Sono presenti una cinquantina di persone circa: per gran parte autorità cittadine; poi la Caritas, esponenti di Rifondazione comunista, i sindacati e Opera Nomadi; nessun rappresentante del clero bolognese. Pochi i rumeni, oltre a Cristinel, il giovane padre di Florin, e a un gruppetto di parenti; pochi anche i cittadini bolognesi, nonostante i fratelli di Florin andassero a scuola e la famiglia stesse tentando un difficile percorso di integrazione nel quartiere.
È quasi impossibile riuscire a sentire il discorso che il sacerdote ortodosso rumeno pronuncia alla fine della cerimonia, soffocato dai boati delle macchine in corsa e dai rumori dei martelli pneumatici dei cantieri per la nuova tangenziale. «La precarietà che vivono tanti cittadini rumeni continuerà a portare disgrazie, sia agli italiani che ai rumeni», è una delle poche frasi che riusciamo a cogliere. Proprio qui, tra i lavori che doteranno Bologna di nuove e importanti infrastrutture, incastrate tra alta velocità, aeroporto, nuova tangenziale e fiume Reno si trovano le baraccopoli ormai note in città; qui Cofferati inaugurò la sua famosa «svolta legalitaria», facendo sgomberare alcuni accampamenti lungo il fiume nel marzo 2005. A questo sgombero, in piena continuità con quanto accadeva con la precedente giunta di centrodestra, ne sono seguiti altri e le baracche si sono spostate via via sempre più lontano dall'asse della via Emilia, sempre meno visibili. «Non ci sono più insediamenti stabili di rom rumeni sul territorio di Bologna, al massimo qualche forma frammentaria di occupazione», dichiarava il sindaco pochi giorni fa ai giornali. Ma nei dintorni del piccolo abitato chiamato semplicemente Birra - perché nato attorno a uno stabilimento di produzione di birra ormai chiuso da decenni - situato tra la via Emilia e l'aeroporto continuano a vivere decine di persone in abitazioni di fortuna, improvvisate lungo le sponde del fiume Reno o nelle vaste aree dismesse che si trovano lì attorno.
Vittime della precarietà
Florin non è la prima vittima rumena della precarietà e delle baracche attorno al fiume Reno. Nel gennaio 2005 Nicolae Vladutu morì nell'incendio della propria baracca sul fiume Reno; nel settembre 2006 in un'altra baracca morì un neonato, per un semplice rigurgito. Tutti provenienti dai villaggi tra Craiova e il Danubio. Dalla stessa zona provenivano Aurel, operaio edile morto nell'ottobre 2006 a Sala Bolognese, cadendo dal tetto del capannone su cui lavorava in nero, e Ion, operaio agricolo, in nero, in un'azienda dei colli bolognesi, cui il datore di lavoro sparò, nel maggio 2006, perché chiedeva i mesi di stipendio arretrati.
Cristinel, padre di Florin, lavora in nero nei cantieri edili bolognesi. Fa sorridere l'appello di Cofferati sui giornali, il giorno dopo il tragico episodio: «Ora assumetelo». È il sindaco della legalità che chiede a degli artigiani edili di regolarizzare una provata situazione di illegalità. E intanto continua a sgomberare i rom rumeni; l'ultimo sgombero, il giorno prima del funerale di Florin, in una fabbrica dismessa, non lontano dalla Birra.
A un centinaio di metri dal luogo della cerimonia, un rumeno sta lavorando di cazzuola sull'uscio di un edificio in ristrutturazione. «Sono stato clandestino fino a gennaio di quest'anno - ci racconta - Poi un contratto di tre mesi. Ora vediamo». Arriva il capocantiere: «Il lavoro c'è e non c'è, tiro avanti come posso».
Artigiani e operai edili ne passano tanti tra via della Birra e via del Triumvirato, per i lavori della tangenziale, ma anche perché abitanti del posto. Lungo la via Emilia, poco lontano dalla Birra e dalle baracche del Reno, c'è un magazzino di materiali edili davanti al quale ogni mattina lavoratori rumeni vengono «assunti» da piccoli artigiani. In un bar un piccolo imprenditore ci racconta: «Anch'io ho un operaio rumeno, ma in regola, perché lavoro in subappalti di opere pubbliche e devo per forza metterlo in regola. Ma i lavori durano due, tre mesi, non possiamo fare contratti lunghi». Due o tre mesi. Le parole di questi artigiani spiegano molto della morte di Florin, figlio di un operaio edile precario e lavoratore in nero, morto perché non aveva un'abitazione degna di questo nome.
Anche qui si fanno sentire le conseguenze del nuovo decreto legge varato dal governo sull'onda dell'omicidio di Giovanna Reggiani a Roma. Il decreto, che introduce norme relative all'allontanamento coatto di cittadini comunitari, finora è stato utilizzato dai prefetti soprattutto nei confronti di rom rumeni. Uno degli effetti più immediati di questo provvedimento, e della campagna stampa che lo ha accompagnato, è proprio quello di rendere i lavoratori rumeni più vulnerabili e ricattabili dai propri «padroncini». Per questi lavoratori la situazione era in parte migliorata con l'acquisizione dello status di cittadini comunitari nel gennaio 2007: il fatto di non rischiare più il rimpatrio se privi di permesso di soggiorno ha dato loro maggiore tranquillità e potere contrattuale sui luoghi di lavoro. Il nuovo decreto fa ritornare attuale il rischio di allontanamento, seppur per motivi di «ordine pubblico». Non resta che tacere e lavorare, a qualsiasi condizione. Lungi dal rendere «sicure» le strade di Bologna, il giro di vite anti-rumeni produce una maggiore precarietà e, per alcuni, una tendenza al ritorno alle baracche.
Convivenza difficile
Gli abitanti italiani della Birra convivono da lungo tempo con le baraccopoli; molti sono anche i rumeni che vivono in zona e che sono riusciti a prendere una casa in affitto. Non sarà Tor di Quinto, ma anche qui le scritte con le bombolette spray su alcuni muri - «stop immigrazione», «via i rumeni» - parlano chiaro. «La questione delle baraccopoli è una spina nel fianco per la popolazione locale - ci spiega un abitante della zona - La morte di Florin può aver suscitato una piccola onda emotiva di commozione e partecipazione, ma la gente qui continua a restare indifferente, se non ostile, ai rumeni. Del resto anche tra gli italiani non è che la situazione sia un granché: la popolazione è in gran parte anziana, non esistono luoghi di ritrovo, la casa del popolo o la parrocchia non sono più da tempo luoghi di aggregazione». «Qui la convivenza è impossibile - ci racconta un altro abitante - i nostri mondi sono troppo lontani. Molti che avevano comprato casa nei nuovi palazzi hanno venduto dopo due o tre anni, cercando casa nei paesi qui vicino».
Ma per la Birra si sta profilando un altro futuro. Con il nuovo ampio svincolo della tangenziale e la probabile realizzazione, proprio su parte delle cave dismesse su cui oggi sorgono le baracche, di un Business center - con hotel, negozi, uffici e un centro congressi collegati al centro città da un treno sospeso - questa piccola area urbana defilata sarà trasformata in una vetrina per turisti e manager frequent flyer che atterrano al Marconi. Importanti investimenti immobiliari, nuovi cantieri, gare d'appalto e necessità di trovare braccia a poco prezzo.