La questione della sicurezza è di vitale importanza in una società,
come quella contemporanea, dove il multiculturalismo e la convivenza
tra etnie sono diventati elementi inscindibili per la definizione di
una moderna città. Le risposte ai problemi di integrazione e
convivenza pacifiche si muovono sempre sul filo di due binari: su uno
si percorrono politiche di intolleranza, facilmente alimentabili dai
fatti di cronaca che i media alimentano ad arte, accrescendo "la paura
dello straniero" ed espresse attraverso regolazioni di flussi
eccessivamenti severi o misure ugualmente repressive; sull'altro si
tende a nascondere i problemi relegandoli sullo sfondo, come la
questione dei Rom. Da questo e da altri spunti parte la riflessione
del TPO, centro sociale da sempre molto sensibile nei confronti di
tali temi sociali, che parte da una constatazione sulla situazione
della tolleranza nella Bologna sotto la gestione Cofferati, le cui
iniziative e posizioni sono sempre state molto discusse. Le norme
restrittive riguardanti le chiusure notturne dei locali, la
regolazione della vendita di alcolici, gli sgomberi coatti di intere
comunità Rom hanno provocato danni nella società bolognese molto
profondi. Ma la questione bolognese é soltanto, secondo il TPO, lo
specchio di un quadro sociale nazionale, in cui non è mai stata
avviata a livello politico una dinamina critica sui problemi di
integrazione seria e profonda.
"Le città italiane sono diversissime tra di loro, ma alcune centrali
modalità di funzionamento le caratterizzano. Stiamo parlando delle
politiche di controllo e di repressione che scandiscono sempre di più il
funzionamento di paesoni e metropoli. Bologna non è diversa, anzi.
Se questa giunta comunale, molto probabilmente ormai al capolinea, non si
è distinta per una visione seria, particolare, autonoma, vincente di
città si è sicuramente distinta per misure securitarie che hanno fatto
dell'eccezione le norme. Leggi antibivacco, leggi antialcol, chiusura di
spazi di socialità (molto spesso tramite sgomberi brutali) hanno
contribuito a desertificare vaste zone della città dedicate alla
socializzazione, e a nascondere il disagio sociale lontano dagli occhi
del centro della città. Obiettivo principale: normare, disciplinare,
rieducare espellere l'altro, il diverso, l'irregolare. Questa dinamica ha
sicuramente coinvolto anche tutti coloro che agiscono nelle sue mille
forme il mondo della cooperazione sociale.
Meno soldi per i Sert, per la prevenzione, per il recupero socio
economico fanno il palio con l'aumento costante di fondi per le
tecnologie di controllo e di polizia. Un'espulsione delle marginalità
negli angoli d'ombra della città che funziona come moltiplicatore dei
problemi.
Bologna, città una volta all'avanguardia rispetto agli interventi di
prevenzione e riduzione del danno, è oggi un laboratorio di calcolato
depotenziamento continuo dei servizi pubblici, del privato sociale e
delle unità di strada che si spendono quotidianamente per innovare la
politica sulle droghe e il cui lavoro rappresenta sempre più un'azione di
esemplare coraggio di fronte ai continui tagli dei finanziamenti.
Bologna, abbiamo detto, non è un'anomalia.
Il problema è più complesso e ampio, è strutturale, perché lo è il modo
con cui lo si affronta. Tentiamo di spiegarci meglio: riteniamo che le
politiche proibizioniste, nonostante un oggettivo fallimento, sono sempre
più patrimonio comune tanto delle politiche di destra quanto di quelle di
sinistra. Così come è diventato patrimonio comune il terreno culturale
del quale si nutrono queste politiche e che divide il mondo tra normali e
devianti.
Pensiamo che ciò costituisca un campo di battaglia importante sia perché
come consumatori e come operatori, in un modo o nell'altro, ci coinvolge
direttamente, sia perchè contribuisce a rafforzare una tecnologia del
controllo che passa attraverso un disciplinamento immediato dei corpi,
delle menti, dei desideri, delle pratiche e degli stili di vita.
Nel momento in cui ogni aspetto della vita viene potenzialmente messo a
valore e a lavoro ci rendiamo conto di come la questione ricopra un
aspetto importantissimo.
Qualsiasi cosa si pensi del problema delle dipendenze non si può non
partire da questo dato.
Inoltre lo stato attuale delle politiche e delle norme in materia di
dipendenze costituisce un limite oggettivo e concreto al nostro lavoro
quotidiano.
Come possono gli operatori rendere efficace il loro lavoro al tempo della
Fini Giovanardi mai scalfita dall'attuale governo?
Abbiamo tanto lavoro da fare e lo strumento è quello che pratichiamo da
sempre: il lavoro di rete. Vorremmo provare a potenziarlo ancora cercando
di capire come si può fare prevenzione e riduzione del danno con i limiti
che ci circondano ma anche con le potenzialità e con l'accumulo dato dal
nostro lavoro.
L'obiettivo minimo a cui puntiamo è una società giusta verso i
consumatori, libera dalla proibizione e dalla speculazione, dove la
salute sia un diritto concreto per tutt@.
L'obiettivo minimo è la felicita. Siamo realisti e siamo ribelli."
Fonte: comunicato stampa del TPO