Guai a chi ci tocca!
Io sento che il mio corpo quando attraverso questa città non è al sicuro.
Io ho trasformato le mie abitudini, i miei percorsi. Io ho iniziato a
camminare con passo veloce quando percorro tragitti non illuminati.
Quando ho un uomo alle spalle cambio lato della strada e quando ne
incrocio uno mi chiedo se mi potrà fare male. Questa mi sembra l’unica
possibilità di auto-tutela del mio corpo. Io voglio correre forte restare
libera. Io voglio agire muovermi spostarmi aggirarmi. Io voglio godere.
Crediamo che l’aumento di episodi di violenza (e/o il loro essere messi
allo scoperto e denunciati) sulle donne, ma anche sui gay e sulle/i
trans, non possa più essere ridotto a mero fatto di sovrapproduzione
mediatica, cronaca nera locale o atto criminale relegabile alla sfera
privata.
Pensiamo che la violenza sulle donne, in tutte le sue forme e
manifestazioni, sia un feno meno sociale denso di signif icati politici e
sessisti, che parte da un’espressione di ancestrale volontà di
categorizzazione, dominio, annientamento e sfruttamento dell’altro in una
società dove l’identità del diverso viene sempre più percepita come
presenza minacciosa, degradante e trasgredente alle tradizionali forme di
espressione e di ri-produzione. Dove la sessualità è costruita su un
modello dominante maschile, a prescindere dalla sua provenienza
geografica, appartenenza religiosa, collocazione sociale.
Dove lo stupro e qualunque atto avvenga sul corpo di una persona contro
la sua volontà, rappresenta l’aspetto più aberrante di una violenza che
donne, gay, transessuali, subiscono quotidianamente e che permea il
paesaggio delle metropoli in cui viviamo. Ma con lo stupro si riproducono
anche codici di uso della forza propri della guerra – dove ogni
atteggiamento di disumanizzazione e terrorizzazione del corpo del nemico
è lecito – e che sempre più si propaga nei nostri territori con
l'individuaz ione di figure sociali da annientare, spesso e volentieri
attraverso forme di tortura e abuso.
La violenza maschile sull’altro da sè è fenomeno radicato nelle
istituzioni – civili e militari, laiche e religiose – e nelle politiche,
e porta avanti un’omissione della dignità della donna e di tutti i
soggetti che dentro questa logica si vogliono deboli e da tutelare. In
quest’ottica le politiche securitarie hanno mutata la geografia delle
città e hanno diffuso una percezione di insicurezza e assedio
proporzionale alla presenza delle forze che tutelano un ordine che non ci
appartiene. Che elegge nemici degradanti e li marginalizza. Che accetta
integralismi religiosi e reazionari che fomentano intolleranza e odio.
Che relega in zone periferiche della città gli spazi sociali, attorno al
quale crea uno stato di degrado e abbandono volontario e ghettizzante.
Per noi tutto questo è strumento di controllo sociale e sta generando
provvedimenti che negano, reprimono e sanz ionano la libertà di
movimento, autodeterminazione ed espressione in un'escalation che arriva
a misure, tanto straordinarie ed emergenziali quanto razziste, come
quelle contenute nel decreto legislativo sulle espulsioni dei cittadini
comunitari con cui si è stigmatizzata un' intera popolazione.
Sovvertire il punto di vista che ci vuole vittime, a rischio, significa
smascherare le contraddizioni presenti nelle politiche che regolamentano
le città dichiarando di proteggere sorvegliando.
Pensiamo che lo spazio che come comunità occupiamo, viviamo, creiamo ogni
giorno sia il “qui e ora” da cui partire per costruire un dibattito che
parli del nostro ruolo di fronte agli episodi di violenza che permeano la
nostra città. Gli spazi sociali – luoghi liberati dalle forme del
controllo e dalle logiche di profitto e sfruttamento economico – sono per
noi anche laboratori di nuove forme di interazione tra i generi,
internamente ai generi e alle generazioni. Luoghi di continua
trasmissione di percorsi di autorganizzazione e di autodeterminazione
attraversati da soggettività sempre più molteplici.
Da qui affermiamo la nostra presa di responsabilità per costruire e
diffondere attraverso il nostro spazio un diverso modo di relazionarsi,
che parte dal rifiuto dei modelli di virilità imposti socialmente e che
si ritrova nella quotidiana volontà di cooperazione e confronto alla base
di ogni attività del nostro centro sociale.
Il TPO assume come carattere identitario il rifiuto di pratiche,
atteggiamenti, gesti offensivi, maschilisti, aggressivi nei confronti
delle donne, dei gay, delle/dei transessuali, anche attraverso quotidiane
scelte politiche, artistiche, musicali e culturali di non tolleranza e
non connivenza. Vogliamo mantenere il TPO libero da comportamenti di
offesa o dominio verso tutte e tutti e, nello specifico, verso ogni donna
che attraversa il nostro centro. Con un atteggiamento attivo, che
assicuri libertà di movimento ed espressione nei luoghi che apriamo alla
città e non difensivo, di tutela, di protezione.
Il nostro desiderio di camminare divertirci incontrarci socializzare
trasgredire e godere è un nostro diritto ed è la sicurezza che vogliamo:
Guai a chi ci tocca!
Stop sexual violence!
TPO
novembre 2007