Alcuni giorni or sono ho partecipato – in qualità di parente di una paziente psichiatrica – a un incontro con la Direzione del Dipartimento di Salute Mentale dell’AUSL bolognese. In quell’occasione, ho espresso le mie lagnanze per gravi disservizi, inefficienze, inadempienze riguardanti sia il trattamento della mia congiunta sia, più in generale, il funzionamento del Dipartimento suddetto, con particolare riguardo per la struttura di Villa Olimpia. Alle mie proteste civili – che concernevano, ad esempio, l’“obbligo” di fumare per tutti i pazienti (non esiste stanza per non fumatori), il vuoto di assistenza e cura dei malati solo imbottiti di psicofarmaci e condannati senza speranza alla cronicizzazione della loro patologia, ecc. – mi è stato obiettato dal Dirigente Medico Psichiatra di Villa Olimpia che non avevo voce in capitolo perché io stessa sarei “una paziente psichiatrica”. È il tipo di argomento fallace che nei trattati di logica viene denominato argumentum ad hominem: quando non si può confutare la tesi dell’avversario si cerca di screditare la sua persona. Come quando in tribunale il difensore di uno stupratore, invece di dimostrare che il suo assistito non ha commesso il fatto, getta fango sulla vittima affermando che sarebbe una donna di facili costumi.
Avrei potuto soprassedere, considerando l’episodio come uno dei tanti esempi di arroganza professionale e ordinaria maleducazione, tenuto conto anche delle scuse (“per gli equivoci insorti”) inviatemi per iscritto dal Direttore del DSM. Il fatto è che si tratta di una prassi argomentativa (“taci che sei matto”, oppure “taci che sei incompetente”, ecc.) comune nell’AUSL bolognese, in contrasto con tutte le delibere regionali che invitano i dirigenti a recepire le lagnanze dell’utenza come uno stimolo al miglioramento del servizio. In altra occasione, in risposta ad alcune critiche che – nella mia duplice veste di parente di una paziente e di presidente dell’Associazione di Volontariato “Diritti Senza Barriere” – rivolgevo all’Azienda, il Direttore del DSM di allora mi qualificava, per iscritto, come “portatrice di seri disturbi di tipo paranoico” minacciando iniziative legali che non hanno mai avuto seguito.
Io non so se sono anch’io “una paziente psichiatrica”: forse sì, come lo sono un po’ tutti, psichiatri compresi. Dico solo che l’argomentazione del “taci perché sei matto”, se è sempre comunque inaccettabile, risulta particolarmente arrogante e volgare – oltre che logicamente fallace – quando viene utilizzata da uno psichiatra. Il quale mostra di fare uso della propria scienza e dell’autorevolezza che gli deriva dalla propria qualifica professionale non, come dovrebbe, per curare i malati, ma per celare le proprie manchevolezze e inadempienze umane e professionali.