Le parole dell’avvocato di Gabriele Sandri, 28 anni, tifoso della Lazio ucciso da un agente di polizia ad una stazione di servizio dell’autostrada, sono forse il messaggio più importante da raccogliere. L’avvocato si è rivolto così ai giornalisti accorsi sul luogo dell’uccisione. “Siate coraggiosi questa volta”. E da qui occorre partire per sottolineare almeno tre questioni dirimenti, tre questioni che fanno da spartiacque tra un paese ancora formalmente democratico e uno stato di polizia, tra un paese ormai assuefatto a rendere normalità l’emergenza e a rendere l’emergenza normalità.
1) La dinamica dell’uccisione di Gabriele Sandri, che ha fatto esplodere “unitariamente” la rabbia dei tifosi di almeno cinque città diverse, è molto chiara e terribilmente simile a quella di centinaia di altri episodi analoghi in cui né i giornalisti né i magistrati hanno dimostrato di “essere coraggiosi”. Le cronache ci consegnano centinaia di episodi di colpi sparati in aria dalle forze dell’ordine che si conficcano mortalmente nella schiena di giovani e meno giovani. Le versioni ufficiali vengono prese per buone, la stampa cessa immediatamente di chiedere, la politica tace e soprattutto acconsente e la magistratura archivia ed assolve. Solo due giorni fa a Perugia c’è stata la manifestazione per chiedere la verità sull’uccisione in carcere di un ragazzo fermato per un po’ di marijuana, mentre è ancora aperta l’inchiesta di Ferrara per la morte di Federico Aldrovandi durante l’arresto. Potremmo richiamare centinaia di casi in cui medici compiacenti hanno stilato referti di fronte a cadaveri tumefatti dalle percosse in cui si limitavano a parlare di morte dovuta ad “arresto cardiocircolatorio” e di magistrati e giornalisti che hanno preso per buone queste versioni ufficiali.
Si tratta dunque di essere innanzitutto coraggiosi per ridare – se possibile in un paese come il nostro – dignità alla giustizia, anche quando si tratta di giudicare uomini in divisa o uomini degli apparati dello Stato. In questo il processo in corso a Genova per la macelleria messicana nelle strade, alla Diaz o a Bolzaneto sarà uno spartiacque storico e morale.
2) Il fatto che i tifosi avversari di squadre diverse si siano uniti in una reazione prevedibilmente rabbiosa contro le forze dell’ordine in tre stadi diverse, dando vita a cortei comuni, deve far interrogare seriamente ed in modo non ipocrita la politica e i sostenitori della sicurezza. Il rapporto tra forze di polizia, carabinieri, vigili urbani e società è diventato un rapporto difficile e per molti versi ostile. Chi ha una divisa vede in tutti gli altri degli imbelli o dei criminali, dei rompipalle o dei nemici. E’ una sorta di fronte interno speculare a quelli che si combattono nei teatri di guerra come l’Afghanistan. Da questo punto di vista, gli stadi sono diventati come le banlieus francesi in cui comunità sociali consolidate o provvisorie subiscono e attaccano i rappresentanti “più a portata a di mano” di un potere ostile. Indicativa in tal senso è una intervista raccolta da Emilio Quadrelli con un tifoso del Catania successiva all’uccisione dell’agente Raciti che spiega molto dello scenario che abbiamo visto realizzarsi quasi contemporaneamente negli stadi di Roma Milano e Bergamo:“Guarda è una cosa molto semplice. Tu abiti in un posto, un altro da un’altra parte e quello da un’altra parte ancora però, in un modo o nell’altro, gli sbirri ti hanno rotto i coglioni e allora, invece di affrontarli singolarmente, in una situazione di debolezza, la questione te la risolvi allo stadio dove la forza che puoi mettere in campo è cento volte superiore. Questo per tanti motivi ma uno è il più importante. Allo stadio, quando partono gli scontri con gli sbirri, coinvolgi praticamente tutti perché, la maggior parte, non aspetta altro che togliersi qualche soddisfazione. Se fai la guerriglia in quartiere per loro è facile localizzarti e isolarti e in più sono capaci di mettere a ferro e fuoco l’intera zona, terrorizzando gli abitanti. Allo stadio, invece, lo spazio di manovra è molto più vasto e loro non possono rifarsi sugli abitanti, soprattutto contro i vecchi e le donne”.
2) Liberare lo sport dal business al momento appare impossibile. Ma liberare le curve e gli stadi dagli avvoltoi della politica è possibile e necessario. E’ emblematico e fa ribrezzo il modo con cui due colonnelli di Alleanza Nazionale si sono gettati sui fatti seguiti all’uccisione di Gabriele Sandri. La sera stessa, Ignazio La Russa ha chiamato in diretta Controcampo su Italia 1 e Andrea Ronchi ha chiamato in diretta la Domenica Sportiva sul canale “amico” del TG2. Lo hanno fatto per criticare il governo (nella persona del ministro degli interni Amato), per dire che andavano sospese tutte le partite e soprattutto per cavalcare il popolo delle curve notoriamente influenzato dai gruppi di destra. GLi stadi diventano così concentrazione , diffusione, interlocuzione etarget mediatico per operazioni poco pulite, sciacalli e politici spregiudicati. Dieci giorni fa , infatti, sono stati mandati in campo i giocatori della Roma e della Lazio impegnati nel derby con il lutto al braccio nonostante che la signora Reggiani – aggredita a Tor di Quinto da un immigrato rumeno– non fosse ancora morta. Anche in quel caso lo stadio, le società e il calcio si sono prestati ad una operazione politica e mediatica apertamente preordinata e che ha atteso solo “il caso clamoroso” per mettere in moto gli strumenti di costruzione di una campagna d’ordine e razzista.
Ma è proprio questa campagna sulla sicurezza che ha creato le condizioni affinché un agente di polizia premesse il grilletto contro un ragazzo sull’altro lato dell’autostrada, a decine di metri di distanza e le freddasse. Quell’agente, era convinto che stava facendo quello che la politica, la stampa, il senso comune, la mancanza di coraggio e una consolidata impunità gli avevano chiesto di fare e autorizzato a fare. Da qui dobbiamo partire per riflettere e per mettere a nudo le ipocrisie e i pericoli delle campagne sulla sicurezza.
Roma 11 novembre
La redazione di Contropiano
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