Il dibattito sull'autonomia del sindacato

La CGIL ha 101 anni... E se li portava bene!

Il punto di vista di un ex-precario che oggi non trova un sindacato a cui iscriversi; prima e dopo il 20 ottobre. Questo articolo ci è stato inviato da un nostro lettore che lo aveva scritto in previsione della partecipazione alla manifestazione di sabato scorso. Poi ha aggiunto alcuni appunti sull'entusiasmo che lì ha respirato. Tra le note scritte per ricordare alla CGIL il suo compito di rappresentanza dei lavoratori (compresi i precari), c'è n'è una di delusione per Cofferati.

25 ottobre 2007 - Nicola Caranci

Correva l’anno 1906 e nasceva la CGIL. Nell’anno 2007 la società corre più forte e la CGIL la rincorre, ma dà l’impressione di essere affaticata. La più grande organizzazione di lavoratori italiana era arrivata al proprio congresso del centenario in buona forma e allenata dal governo di centro-destra. Le assemblee erano organizzate con una capillarità ormai difficilmente praticata anche dai partiti che predicano il rapporto con la base. Una preoccupazione era molto condivisa: sarebbe riuscita una centenaria a non cedere in un confronto con un governo che si sperava di centro-sinistra? Nessuno osava definirlo potenzialmente “amico” (troppo sfacciatamente DC) e tutti srotolavano discorsi per spiegare che l’Organizzazione sarebbe stata capace di “mantenere la propria autonomia”. ALTA sarebbe rimasta l’attenzione sui temi sociali, e una delle parole più usate era precarietà. Io ho fatto parte di questa categoria “lavorativa” per 7 anni. Ho sperimento nella Sanità pubblica una condizione condivisa con due gruppi di 50 collaboratori, prima in Emilia Romagna e poi in Piemonte. Ho creduto molto in CGIL, e in particolare nel NIdiL (la sua categoria atipica). Avevo avvertito conati di corporativismo quando nelle “vertenze” che affrontavamo interveniva Funzione Pubblica e metteva in secondo piano la nostra "piccola" categoria che non rappresenta interessi specifici. Però molte cose siamo riusciti a raggiungerle e credevo che il germe critico avrebbe ancora consentito ad una grande organizzazione di rimanere affianco ai lavoratori, anche quelli giovani senza troppi diritti e che lavoravano anche per loro o con loro. Ora ho un contratto a tempo indeterminato, ma mi sento ancora precario dentro e solidale con i colleghi con cui ho condotto battaglie per essere tutti più consapevoli e riconosciuti. Per farlo, ora, vorrei potermi tesserare con la FIOM e sentirmi vicino a Lavoro e Società. Funzione Pubblica e tutte le altre dovrebbero farsi un esame di autocoscienza. La mia domanda è: dove è finito il coraggio del congresso se il Segretario chiama più di 5 milioni di lavoratori a votare e poi ha paura di far cadere il governo? Dietro questa domanda ne vengono varie, che un processo dialettico dovrebbe imporre proprio all’interno di CGIL. Vivo a Bologna; allora mi viene da chiedere a Cofferati: perché la tua priorità è diventata allontanare i lavavetri quando mi ricordo ancora il tuo discorso del 23 marzo 2002 in cui difendevi l’articolo 18? A Epifani: perché a luglio firmavi un accordo con riserva, in quanto il metodo della concertazione nelle ultime battute non era stato applicato in modo simmetrico, e poi accetti incondizionatamente la sua approvazione? Perché si va ora orgogliosi di un’intesa con gli altri sindacati confederali, quando Bonanni è contrario ad emendamenti anche minimi della legge che norma la flessibilità di noi lavoratori? Perché si accetta nella sostanza una politica sfacciatamente liberista di un governo di centro-sinistra che si dimentica spesso di una buona parte di quelli che rappresentate?

Cara CGIL, pongo domande e rimango fiducioso perché hai anche al tuo interno sane capacità critiche. Allora, vai avanti Rinaldini. Resistete voi che da dentro ci credete. Fate crescere le istanze che emergono dalla società, anche dietro un referendum. Date voce anche a molti precari che non sapevano neanche che fosse loro diritto votare (non sono abituati..!). Date voce ai pensionati/pensionandi, che sono quelli che più si sono spaventati di essere danneggiati da un NO al referendum. Facciamo crescere un clima di confronto, lontano dallo scontro. Promuoviamo la Solidarietà, anche tra generazioni. E tra paesi. Chiediamo di disinvestire sugli armamenti.
Con queste idee in testa sono andato a Roma convinto. Sabato 20 ottobre a S. Giovanni, quella piazza che anche voi conoscete molto bene, era palpabile l’energia che veniva da tante direzioni e che tutta unita dava ancora più vigore alla società che vuole parlare, portando istanze collettive. Alla coda di un corteo, che era già arrivato quando gli ultimi erano ancora impazienti di partire, c’erano gli studenti. In mezzo c’erano gli immigrati e i lavoratori dei call-center, i precari e gli operai, bandiere rosse e arcobaleno, intellettuali e giornalisti, giovani e anziani, e perfino leader della sinistra che tende l’orecchio alla piazza per intuire dal basso la rotta da prendere insieme. Mentre tirava vento di tramontana e Roma accoglieva i sui ospiti senza le precipitazioni previste, le bandiere sventolavano indipendentemente tutte dalla stessa parte. Ce n’erano anche molte della CGIL, dissidente d’onore ma in sintonia con tanti che vorrebbero un accesso universale alla conoscenza, lavoro dignitoso, uno stato sociale più forte e il “ripudio della guerra”, anche come stile di confronto aperto e gentile. Non si sentivano slogan gridati, ma auguri entusiastici e pacati come quello di Pietro Ingrao. Non c’era un capo carismatico e anche per questo era più riconoscile lo slancio spontaneo, che porta a una proposta di superamento della precarietà. Riaffermare diritti: istruzione, casa, lavoro adeguato, pace tra i popoli e in ogni popolo, previdenza equa e un ambiente ancora sano per le prossime generazioni. Si è respirata area nuova che ha consentito di far spiegare le vele e decidere di partire. Ancora non sappiamo per dove, ma siamo in tanti, differenti, colorati e entusiasti. Ci sarai anche tu, cara vecchia CGIL?