E’ stato un grave incidente sul lavoro, capitato a un muratore tunisino, che ha fatto scoprire l’utilizzo di lavoro nero in un cantiere pubblico alla Caserma Secondo Reggimento Aves Orione di Bologna, in cui è in costruzione un hangar per elicotteri militari.
Erano, infatti, cinque gli operai di origine tunisina, che lavoravano clandestinamente per una ditta di Padova e che, per sfuggire ai controlli, erano stati muniti di tesserini di riconoscimento falsificati.
L’appalto peri i lavori nell’area militare era stato vinto da una Associazione Temporanea di Imprese, con capofila un’azienda di Bari, composta da altre due aziende alle quali si era affiancata, dal mese di febbraio 2007, una piccola ditta di Padova di otto dipendenti, di cui cinque clandestini.
Il 19 luglio 2007, mentre lavorava su un pilastro di cemento nel cantiere, l’operaio tunisino senza permesso di soggiorno è caduto e si è infilzato in diverse parti del corpo dei tondini di ferro che stavano di sotto.
Accompagnato all’Ospedale Maggiore da un suo collega, è stato fatto ricoverare con un’identità che non era la sua. Chi lo ha trasportato ha usato le generalità di un altro lavoratore tunisino regolare.
Dopo qualche giorno dal ricovero, quando è stato sentito sull’incidente in cui era rimasto vittima, non sapendo nemmeno lui dell’imbroglio in cui era rimasto coinvolto, ha rivelato il suo vero nome e cognome.
Da quel momento è partita un’indagine dell’Azienda Sanitaria Locale e dell’Ispettorato del Lavoro che ha portato alla luce come, nell’impresa padovana, su otto addetti cinque erano clandestini.
A questo punto è scattata una denuncia per il padroncino di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e gli è stata comminata una sanzione di 50 mila euro per utilizzo di mano d’opera al nero, con la prescrizione dei sigilli al cantiere finché la situazione non sarà regolarizzata.
Fin qui niente di straordinario, il paradosso si è verificato nei confronti dei 5 lavoratori clandestini che sono stati tutti arrestati per l’applicazione dell’articolo 14 della Legge Bossi-Fini.
Ancora una volta, a pagare i costi più alti di un’inchiesta sul lavoro nero sono gli sfruttati e non gli sfruttatori.
Che dire? A quanto pare, nella nostra città la "legalità cofferatiana" fa pagare i costi più alti sempre ai più deboli.