Via Zamboni e Piazza Verdi alla sera sono corti festanti. Alle sette una marea di gente defluisce in questa “zona franca” per rinvenirsi e chiacchierare, scambiarsi le giornate, decidere se fare qualcosa insieme, godere di una mediocre birra da settanta cent ed un kebab pakistano gonfio di salsine piccanti e carne più che dubbia. Seduto sulla roccia di questa piazza, osservo parte del vasto repertorio della commedia umana. A NORD il Teatro Comunale con le sue signore pellicciate e i macchinoni tutti lucidi e blu. A SUD la ciurmaglia e l’abbaiare dei cani. Ad EST stuoli di armadi a 4 ante vestiti da carabinieri e a OVEST il via vai ondoso verso le Torri. Ma in questa – ben più complessa – panacea di vite, cammina fra la folla una persona di un certo rilievo che si fa chiamare Joe. Spesso lo incroci mentre torni a casa (sul tardi): lui traballante e mesto nel suo incedere lirico (in strascicata colonna sonora anni ’80), forse andrà avanti così fino all’alba. Ma quando è ancora in forma (sul presto), Joe approda in Piazza Verdi con una chitarra e lì lo puoi applaudire dopo un Cyrano o una Locomotiva sbraitate insieme a decine di giovani. Non gli dai un’età a Joe, ma quando sorride ha dentro di sè il fuoco della pugna e della conquista. Con la sua camicia bianca discreta, i jeans neri puliti: un tipo alla vecchia maniera, l’avrete capito... certo che si tira dietro ancora svariati otri di dignità! Non di rado lo puoi vedere zampettare rapido mentre infila nel sacco nero i vetri vuoti delle birre. Odia disordine e sporco. Ora, questa zona precipua di Bologna vive un conflitto fra residenti – stufi di chiasso ed urina – e popolo della notte – non disposto ad accettare freni. In questo contesto il miglior modello è il picaro Joe. Come aveva sempre sostenuto Pascoli: è giusto che la poesia si occupi delle piccole cose, cioè degli elementi dove si aggruma e cresce il cece duro della nostra umanità. Lì dove si annidano i caratteri profondi e i più noncuranti quanto espliciti atteggiamenti, si saggia la qualità della carne spirituale umana ed è dolce quella di Joe, tenera a dispetto di quella società parallela che mira ad erigere tabù e facili etichette. Joe... piccolo eroe che riabiliti le anime degli ultimi investendole di panno nobiliare. Joe che sconfiggi titani evasi, battendoti contro con il pensiero (o istinto?) di adorazione del soggetto forte, della persona somaticamente e spiritualmente più forte. Saranno mulini a vento? L’evoluzionismo farà emergere sempre il più forte con grande imparzialità, non curandosi minimamente di qualsiasi zavorra morale? Questo probabilmente Joe non se lo domanda, perchè non può smettere di assestare colpi neppure per un secondo. E la sua lotta coinvolge tanti altri che corrono ad esprimersi coi mezzi più difformi! Joe – nei suoi silenzi, nella sua mimica composta, nella sua generosa dignità – lascia dietro di sè al suo passaggio uno sciame di nebulose astrali che sfiorano più o meno tutti noi seduti sulla piazza. Uno dei doni più grandi che lascia, spesso passa inosservato: si chiama sorriso. Qui non si vuole certo costruire un Baal del terzo millennio, ma vagliamo attentamente il nostro cuore e meditiamo: se vedessimo un personaggio come Joe stravaccato alle 15 sotto i portici felsinei cosa penseremmo? Nove su dieci lo giudicherebbero con una smorfia o lo lascerebbero cadere nell’indifferenza. Ma siamo proprio sicuri di far bene? Perchè? Forse un’anima rifiorita non si può celare nelle spoglie di un singolo che ha deciso per un sentiero più arduo (o comunque diverso) e per questo è ostracizzato da una casta dominante puritana? Pensiamoci... non è detto che la verità trovi covile fra i palmi vellutati delle nostre mani! Grazie Joe!