E' morto, dopo un ricovero al Policlinico di Milano in seguito ad una caduta, il comandante partigiano Giovanni Pesce (nato a Visone d'Aqui Terme nel 1918).
Pesce iniziò l'attività politica nel partito comunista francese, essendo emigrato giovanissimo in Francia con la famiglia per fare il minatore. Nel 1936 entrò volontario nelle Brigate Garibaldi che partivano per la guerra di Spagna, nel corso della quale venne ferito tre volte. Tornato in Italia nel 1940, dovette scontare prima un anno di carcere e poi il confino a Ventotene. Dall'agosto 1943 prese parte alla Resistenza, prima nei Gap di Torino e poi in quelli di Milano. "Visone" fu uno straordinario combattente e un grande comandante, insignito a guerra finita della medaglia d'oro al valor militare. Insieme a lui la moglie Onorina, la staffetta partigiana "Sandra", con cui ha diviso gli ultimi istanti di vita.
Dopo la guerra Pesce è stato dirigente del Pci, dell'Anpi e di Rifondazione Comunista, ma soprattutto non ha mai smesso di girare nelle piazze e nelle scuole per parlare di ciò che spinse lui e i suoi compagni alla rivolta. Di quanto fosse difficile, ma inevitabile, mettere in gioco la propria vita e spesso togliere quella altrui. Della Resistenza tradita. Della continuità dello stato fascista nella pieghe di quello repubblicano. Dello sdegno per chi oggi vorrebbe mettere sullo stesso piano Partigiani e repubblichini.
Numerosi i libri scritti da Pesce, tra cui: "Senza tregua. La guerra dei Gap"; "Un garibaldino in Spagna"; "Quando cessarono gli spari", "Soldati senza uniforme". Inoltre, per conoscerne meglio la figura e il pensiero, segnialiamo "Attualità dell'antifascismo", scritto insieme a Fabio Minazzi.
Riportiamo la prefazione scritta da Giovanni Pesce per "Senza Tregua. La guerra dei Gap":
Il titolo di questo libro – modesta opera che dedico a mia figlia Tiziana e ai giovani che, oggi impegnati nello studio e nel lavoro, si preparano ad essere gli uomini e le donne di domani – consacra l’impegno di chi vuole andare avanti.
I gappisti, gli uomini dei quali si racconta in questo volume, non si fermarono mai davanti a nessun ostacolo, a nessun pericolo. Le loro gesta occupano un posto di rilievo nella storia della Resistenza popolare contro nazisti e fascisti.
Chi furono i gappisti?
Potremmo dire che furono “commandos”. Ma questo termine non è esatto. Essi furono qualcosa di più e di diverso di semplici “commandos”. Furono gruppi di patrioti che non diedero mai “tregua” al nemico: lo colpirono sempre, in ogni circostanza, di giorno e di notte, nelle strade delle città e nel cuore dei suoi fortilizi.
Con la loro azione i gappisti sconvolsero più e più volte l’organizzazione nemica, giustiziando gli ufficiali nazisti e repubblichini e le spie, attaccando convogli stradali, distruggendo interi parchi di locomotori, incendiando gli aerei sui campi di aviazione. Ancora non sappiamo chi erano i gappisti.
Sono coloro che dopo l’8 settembre ruppero con l’attendismo e scesero nelle strade a dare battaglia, iniziarono una lotta dura, spietata, senza tregua contro i nazisti che ci avevano portato la guerra in casa e contro i fascisti che avevano ceduto la patria all’invasore, per conservare qualche briciola di potere.
Gli episodi più straordinari e meno conosciuti di questa lotta si svolsero nelle grandi città, dove il gappista lottava solo e braccato contro forze schiaccianti e implacabili; sono coloro che colpirono subito i nazisti sfatando il mito della loro supremazia e ricreando fiducia negli incerti e nei titubanti i quali ripresero le armi in pugno.
I gappisti non furono mai molti: alcuni erano giovanissimi, altri avevano dietro di sé l’esperienza della guerra di Spagna e la severa disciplina della cospirazione, del carcere fascista e del confino. Tutti, nel difficile momento dell’azione, nelle giornate drammatiche della reazione più violenta, quando la vita era sospesa a un filo, a una delazione, a una retata occasionale, tutti, giovani e anziani, seppero trovare la forza e la coscienza di non fermarsi. Soprattutto, i gappisti furono uomini che amavano la vita, la giustizia; credevano profondamente nella libertà, aspiravano a un avvenire di pace, non erano spronati da ambizione personale, da arrivismo, da calcoli meschini.
Erano dei “superuomini”? No di certo. Erano soltanto degli uomini, ma degli uomini dominati dalla volontà di non dare mai tregua al nemico. Il loro orgoglio aveva radici profonde: coscienti del sacrificio di tutti coloro che avevano sofferto impavidi carcere, persecuzioni, sevizie ne rivendicavano la grandezza e l’insegnamento. Senza l’autorità dei vecchi militanti che avevano sofferto galera, confino ed esilio, durante il ventennio fascista, ai dirigenti non sarebbe stato possibile esigere dai gappisti, dai partigiani, la disciplina più severa che conduceva spesso alla morte più straziante, né ai combattenti avere il cuore saldo per affrontarla. Era soltanto orgoglio ed entusiasmo lo spirito che animò i gappisti? Era un legame di reciproca fiducia tra i vecchi militanti e i giovani, tra coloro che avevano dimostrato di saper resistere sulla via giusta aprendo nuove prospettive e coloro che si inserivano in una lotta che era la lotta eterna contro la sopraffazione, il privilegio, la schiavitù. Senza gli antichi legami del presente oscuro col passato glorioso, davvero non vi sarebbe stata la guerra di liberazione, non avremmo riscattato l’onta del fascismo, “non avremmo conquistato il diritto di essere un popolo libero e indipendente”.
Nel libro sono dedicate alcune pagine alla guerra di Spagna. Se è vero che in terra spagnola il fascismo fece la prova generale della successiva aggressione all’Europa è altrettanto vero che in Spagna si formarono, si temprarono i valorosi combattenti della Resistenza italiana ed europea. Combatterono il fascismo in Spagna gli organizzatori e i comandanti gappisti come Barontini, Garemo, Rubini, Bonciani, Leone, Bardini, Roda, Spada ed altri. Ed è proprio in virtù degli antifascisti italiani delle Brigate Internazionali che la Resistenza italiana potè contare, fin dall’inizio, su molti uomini politicamente e militarmente preparati, pronti cioè ad affrontare con mezzi di fortuna un nemico bene organizzato. Via via questi stessi uomini seppero raccogliere attorno a sé altri combattenti che si buttarono con decisione nella mischia e lottarono con intelligenza e coraggio fino alla Liberazione.
Il racconto delle loro gesta non vuole essere soltanto un’ampia elencazione o illustrazione di episodi di guerra. “Senza tregua” ha una morale profondissima valida oggi come ieri. E’ un insegnamento che gli uomini, i giovani che furono impegnati in drammatiche battaglie, hanno consegnato ad altri uomini, ad altri giovani, oggi impegnati nel lavoro o nello studio, perché sappiano lottare per le libere istituzioni, la giustizia, la libertà, la democrazia. Anche ora si devono infrangere le resistenze al progresso, si deve conquistare maggiore democrazia nelle fabbriche e nelle scuole; anche ora si deve lottare per la pace nel mondo; anche ora è dunque necessario lottare senza tregua.
I morti e i vivi si affollano nelle pagine del libro. Sono volti sempre nuovi, pochi diventano familiari perché pochi scampano. Sembra di averli lasciati all’angolo di una strada e di ritrovarli dopo. Li ritroviamo oggi. Riemergono nell’abisso della memoria i molti che la morte ha ingoiato. Gli altri sono diventati diversi: la vita “normale” ha disperso quelli che un periodo di vita eccezionale aveva riunito una volta. Il tempo di “Senza tregua” è diventato una leggenda. Alcuni dei suoi eroi militano in differenti uniformi o addirittura non militano affatto. Che è rimasto dell’eroismo degli uomini? Soltanto la cara memoria dei martiri e il ricordo dei migliori? Gli uomini creano e scompaiono. E le loro opere? E l’opera più solida è l’Italia antifascista, la pace, la fratellanza dei popoli. E’ l’opera dei protagonisti di Senza tregua. Tocca ai giovani continuare sulla strada maestra, ai giovani continuare la Resistenza.
Giovanni Pesce