I dati del rapporto 2006 parlano del 73% di contratti a termine

A Bologna si lavora. Precariamente.

Meta di tanti giovani, che da tutta Italia la scelgono come sede di studio, Bologna vanta da sempre una delle Università piu' prestigiose del territorio italiano. Eppure, sempre piu' spesso, non è il conseguimento di una laurea che garantisce un futuro roseo, nè tanto meno un posto di lavoro assicurato.
5 luglio 2007

Il possedimento della tanto agognata pergamena non è piu' sinonimo di facile e permanente sistemazione. E' questa una delle affermazioni che risulta dal rapporto 2006 sul mercato del lavoro nella provincia di Bologna, reso noto ieri 4 luglio a Palazzo Malvezzi dall'assessore provinciale al Lavoro, Paolo Rebaudengo, e dal docente di statistica economica dell'Università di Bologna, Giorgio Tassinari.

Secondo i dati del rapporto, Bologna si conferma ai primi posti tra le provincie italiane con piu' possibilità di lavoro. Se diamo uno sguardo generico al quadro dell'occupazione, noteremo che la provincia vanta 450.000 residenti con un posto di lavoro e il tasso di disoccupazione si ferma al 2,9% . Uno sguardo generico, appunto. Perchè la realtà, ben diversa, si traduce in aumento dell'età media degli occupati, prevalenza di assunzioni di persone poco scolarizzate e nell'immancabile contratto a tempo determinato.

Nel 2006 è stato registrato nel bolognese un'ampio segmento di popolazione senza occupazione, soprattutto nelle fasce d'età più giovani e tra gli over 55. Complice l'invecchiamento della popolazione, lo scorso anno circa il 35% dei lavoratori erano annoverati nella fascia 40-60 anni, contro il 29,5% dei lavoratori sotto i 30.

Altro dato preoccupante per gli universitari, è la poca richiesta di laureati, appena del 6%. Gran parte dei contratti firmati nel 2006 interessavano persone con un titolo di studio fino alla terza media, che riguardano soprattutto mansioni molto modeste. Resta sotto il 3% la richiesta di posizioni per gradi elevati, mentre i tre quarti degli avviamenti riguardano mansioni da operaio o in un ambito impiegatizio o tecnico.

Chi, dunque, esce dall'Alma Mater, come da qualsiasi altra università italiana, non riposi sugli allori: di questi 450.000 lavoratori su territorio bolognese di cui parla il rapporto 2006, infatti, il 73% ha un contratto a termine. Davanti alla crescita di un 5,6% del numero dei posti di lavoro, appena il 27% dei lavoratori ha avuto la fortuna di firmare su un contratto a tempo indeterminato, anche se questi dati appaiono in crescita.

Il fantasma del precariato incombe non solo su chi si affaccia per la prima volta sul mondo del lavoro, ma anche fasce di età più avanzate. Un "tunnel" di cui sempre meno spesso si intravede l'uscita: se finora il periodo di "gavetta" era di circa tre anni, ora va sempre più allargandosi e nel 50% dei casi neppure al termine di tale periodo i lavoratori riescono a vedersi stabilizzati. Risultato: si superano tranquillamente i 30 senza una vera e propria garanzia di lavoro.

Sono pochi i settori in cui le assunzioni a tempo indeterminato sono più frequenti: il settore manifatturiero conta il 24,6% di stabilizzazioni di precari, seguono i comparti alberghiero e della ristorazione (18%) e quello del commercio, con il 13% di precari avviati e il 14,6% di interinali "riclassificati". Solo il settore terziario resta stabile, che conta comunque circa i due terzi degli addetti in provincia di Bologna.

Il rapporto 2006 sul mercato del lavoro nel bolognese è stato presentato oggi nel convegno tenutosi nel palazzo della Provincia, a cui ha preso parte anche Rebaudengo. L'assessore ha dichiarato l'intenzione di garantire un miglioramento della formazione permanente e di promuovere un maggiore uso del part-time e degli orari flessibili anche per agevolare la partecipazione degli over 55, e ha sottolineato il ruolo di primo piano di Bologna nel settore dell'occupazione femminile. Ora la meta è quella di raggiungere gli obiettivi comunitari entro il 2010.