Nato a Calgari (Canada) nel 1968, dopo gli studi universitari, ha conseguito l’Agrégation (abilitazione all’insegnamento) e in questa funzione è stato inviato a Bologna, presso la facoltà di lingue, come lettore di scambio (1998).
Attualmente è docente all’università Paris VII-Denis Diderot, dove insegna Teoria della letteratura, e ha all’attivo una collaborazione con il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Bologna.
Si occupa di rapporti fra forme simboliche e sistemi di pensiero. A Rousseau ha dedicato un libro che sta per uscire presso la Oxford University Press
con il titolo L’anthropologie du point de vue narratif.
È redattore della rivista “Poésie” (edita da Belin) nel cui ambito ha curato l'antologia : “Poesia italiana dal 75 al 2005” (600 pagine).
Dall'italiano al francese, ha tradotto autori come Carlo Ginzburg e Giorgio Agamben (per la saggistica); Luciano Cecchinel, Eugenio De Signoribus (per la poesia).
Dirige la collana “Terra d'Altr”i presso le edizioni Verdier.
Come poeta, ultimamente ha pubblicato: "Corda tesa" '(La luna, 36, 2005) e Comme si quelque (Chambery, Comp'Act, 2006).
Con un piede alla Maison Française di via De Marchi e l’altro alla facoltà di lingue dell’università, c’è sempre a Bologna un professore, giovane ma titolato, inviato dal governo francese con la funzione detta di lettore di scambio. Fra il 1998 e il 2002 c’era Martin Rueff (nato nel 1968), poi diventato maître de conférence (un grado della docenza) all’università “Paris 7”. Rueff non solo parla benissimo l’italiano, ma si è dedicato, anche dopo il ritorno in Francia, ad un aspetto estremamente difficile della lingua, francese come italiana, ovvero la poesia. Attualmente dirige “Terra d’altri”, collana francese di poesia italiana. Per la rivista francese Poésie ha curato due numeri antologici dedicati alla poesia italiana contemporanea a partire dal 1975, anno – mi chiarisce - della morte di Pasolini. Ha curato anche un ciclo di incontri poetici al “Piccolo” di Milano. Alla città di Bologna, dov’è molto conosciuto in ambiente universitario, sia per l’apporto che vi ha dato sia per la qualità dei suoi studi specialistici (in particolare Jean-Jacques Rousseau), è rimasto affettivamente legato e non è raro incontrarlo qui da noi. Così, in uno di questi incontri, ho pensato di chiedergli delle elezioni francesi e delle sorti della sinistra. Ed ecco il colloquio che ne è scaturito.
– Che impressione hai avuto dell’Italia e di Bologna quando hai cominciato a lavorare da noi?
“Arrivando a Bologna, ho avuto netta l’impressione di trovarmi in una città di sinistra. Per due ragioni. La prima consisteva nella proiezione forte che sul presente inviava ancora la Resistenza. La seconda stava nel tipo di atmosfera culturale che si respirava all’università, ma anche nel resto della città: una cultura di sinistra. Questo per Bologna. Guardando invece l’Italia, mi colpiva la diversa collocazione dello stato nel paradigma della cittadinanza. Qui da voi mi sembrava predominare la dimensione locale e particolare, al contrario di quanto avviene in Francia, dove lo stato è comunque il perno del sistema politico. La domanda che mi ponevo e ancora mi pongo è se l’Italia rappresenti il passato o il futuro della Francia.
– In Francia mi hanno fatto tante domande su Berlusconi, che a questo punto mi viene di farne una a te. Che mi dici di Berlusconi?
“Ho avvertito una forte emozione e tristezza nel momento della scalata berlusconiana. Ma non per la vittoria della destra in sé, bensì per il prevalere di un modello di illegalità. Tutto questo anche alla luce dei miei studi specialistici su Rousseau, con riferimento al concetto di volontà generale, che il Berlusconismo annunciava di voler mandare in pezzi”.
- Tu ti sei sempre proclamato di sinistra. Cosa pensasti al tempo di Prodi e dell’Ulivo?
“Secondo Claude Lefort, la democrazia si definisce in base a un “centro vuoto” (le centre vide de la démocratie), concetto ripreso da Rancière. Cosa intende Lefort con centro vuoto non è facilissimo da spiegare in due parole. Provo lo stesso. Lefort è un teorico del totalitarismo. La sua è una teoria del rapporto comunità/democrazia. Le comunità tradizionali, come dopo le comunità totalitarie, sono fondate su un centro “pieno” – la comunità si salda sul rapporto a una divinità, a una tradizione, a un identità nazionale e a una gerarchia che distribuisce posti e posizioni (per esempio l’ancien régime). La democrazia non mette niente al centro della comunità: né storia, né divinità, né re. È un’esperienza delicatissima. E la democrazia prova spessissimo la vertigine del suo vuoto. Basta pensare a Le Pen o a Bossi. Cercano di mettere qualcosa nel centro: Le Pen inventa la nazione francese – idea che non soltanto mi disgusta ma mi fa ridere vista la mia storia personale ! Bossi inventa il mito padano. Ma la cosa importante è ricordare che è proprio il vuoto della democrazia a creare questo bisogno di miti. Se l’Italia è così legata al cattolicesimo, è perché esso propone il mito continuato della civiltà cristiana. Se non disgusta, fa ridere anche questo. Chiarito il concetto di Lefort, torno all’Ulivo. Non è perché il centro della democrazia è vuoto che il partito che prende in carico il centro vuoto deve essere vuoto. Cosa che invece l’Ulivo a mio avviso era. Quindi mi chiedevo se l’Ulivo fosse un’operazione di grande abilità tattica per arginare Berlusconi oppure una strategia di liquidazione della sinistra”.
– Con i rischi di liquidazione o liquefazione della sinistra noi italiani conviviamo ormai da anni. Però pensiamo che in Francia la sinistra sia più solida, vista la permanenza di un polo socialista che ci appare puntare al centro senza voler diventare di centro. Giusta questa nostra sensazione?
“Pur vedendo bene certe differenze fra Italia e Francia, non ne sono affatto convinto. Facciamo un passo indietro. François Mitterrand fu eletto nel 1981 con un forte partito comunista. Il famoso “programme commun” fu una piattaforma di sinistra che permise a Mitterrand di arrivare al potere. Tuttavia il mitterrandismo non solo non ha favorito riforme di sinistra ma ha impedito una vera politica di sinistra. Nel 1988 per vincere ci fu un’unica linea di demarcazione: la paura per Le Pen. Questo ha influenzato un ventennio di politica francese, come bene ha chiarito Shmel Trigano su ‘Libération’ del 16 maggio scorso”.
– Quindi c’è una sorta di parallelo con la politica dell’emergenza praticata in quegli anni in Italia?
“In un certo senso sì, fatte le debite differenze, come quella fondamentale che da noi non c’è stato un terrorismo di tipo italiano, né di tipo spagnolo, ad influenzare il clima politico”.
– Sai una cosa? A noi nel 2002 fece un certo effetto la disfatta di Lionel Jospin e soltanto a malapena ci confortò l’affermazione plebiscitaria anti-Le Pen. Poi ho letto sul “Canard enchaîné” degli attacchi terribili a Chirac, manco fosse un Berlusconi in salsa francese. Mentre noi avremmo fatto volentieri il cambio!
“Ma dici bene.- Ciò che caratterizza Chirac è il suo rifiuto di collaborare con la destra di Le Pen. Per il resto da eccepire ci sarebbe tanto…”
- Beh, veramente in Italia abbiamo guardato con occhio molto benevolo Chirac anche quando ha tenuto la Francia fuori dalla vicenda irachena, sciagura in cui il nostro governo ci ha bellamente impegolati.
“La politica anti-Bush di Chirac non ha a che vedere soltanto con l’interesse. Ti ricordi che gli americani, e anche qualcuno in Italia, accusavano Chirac di opporsi all’America per difendere interessi economici francesi nell’area del Golfo Persico? L’argomento era buffo perché nello stesso momento si diceva che l’America fosse guidata dal desiderio di propagare il bene ! Non credo neanche che sia da ricollegare con la grandeur, col sogno d’una grande politica estera defunta. Semplicemente, quello di Chirac era il gesto d’un gaullista tipico: il rifiuto di appiattirsi sulle posizioni di Washington”.
– Dopo la batosta del 2002, cosa ha fatto la sinistra francese per tentare di rimontare la china?
“Da un lato c’è stato un grande fermento di riflessione all’estrema sinistra, che culmina certamente con la vittoria del no al referendum sulla Costituzione europea. Questo fermento è stato anche prodotto dal senso di colpa per il ruolo giocato dalla “extrême gauche” nella sconfitta di Jospin. Invece il PS non si è messo in discussione, né come linea politica né come apparato. Ciò che Ségolène Royal è riuscita a strappare contro l’apparato non è un vero progresso perché l’apparato non ha saputo o voluto cambiare l’approccio a questioni decisive: ruolo del lavoro nella società, ruolo della scuola, ambientalismo, ecc. Ma è possibile che nessun dirigente del PS si senta tenuto a dire ‘qualcosa di sinistra’?”
– Mi sembra di intuire come mai in Francia voi amiate tanto Nanni Moretti. Sarà che ve ne servirebbe uno? Ma procediamo… Conoscendo il travaglio che ha portato alla candidatura Royal, possiamo immaginare che le mediazioni siano andate a scapito della qualità del programma e delle idee guida?
“Se oggi in Francia esiste un discorso di sinistra possibile, il PS non lo ha certo portato avanti”.
– Nemmeno se parliamo di una svolta tramite candidatura femminile?
“Certo che no. La candidatura Royal ha solo cercato di inventare una nuova immagine, ma certo non un nuovo discorso. L’idea di portare avanti una candidatura femminile rispondeva a buoni motivi e a cattivi motivi. Ma si può pensare che senza la Royal sarebbe stato molto peggio? chi poteva fare meglio? Il gruppo degli éléphants? [i dirigenti storici del partito come Fabius, Strauss-Khan, Lang, ecc. – n.d.r.]? Come mai il partito non ha mai accettato di essere rappresentato da candidati popolari? Guarda Rocard, guarda Kouchner!? Erano amati, molto amati dai Francesi, ma il partito non ne voleva. Perché? C’é una sorta di assioma: il partito socialista sceglie rigorosamente il candidato che non vincerà”.
- E Mitterrand?
“Non direi che il partito ha scelto Mitterrand, ma, tutt’al contrario che Mitterrand ha scelto il partito”.
– Ma è possibile che non ci fossero marcatori visibili della Royal rispetto al discorso di Sarkozy, nel senso di qualificarne l’appartenenza a sinistra?
“Visibili, no. La Royal ha cercato di proporre altre regole del gioco politico per marcare la sua differenza: la concertazione e la famosa “democrazia partecipativa” (con un rimando improbabile a Rousseau e al repubblicanesimo). Lei non proponeva un programma di sinistra: diceva che avrebbe invitato più gente al gioco della democrazia”.
– A Bologna questo non ci risulta nuovo. Anche Cofferati diceva cose del genere in campagna elettorale. Pensi che una Royal al potere avrebbe inaugurato una politica alla bolognese a Parigi? In altri termini, riesplodendo il caso delle banlieues, la Royal avrebbe inviato più operatori sociali e mediatori oppure più ruspe e poliziotti?
“Rousseau c’insegna che la “volontà generale” è sovrana, ma che sceglie un governo per governare. Ovvero, gli elettori devono sapere quale sarà la politica di un governo e si attendono da esso non di sapere quanti giocatori ci saranno al tavolo ma che gioco si giocherà. Figuriamoci. La destra si presenta dicendo sempre: non preoccupatevi, facciamo noi. E dicono cosa faranno. (Che non lo facciano è un altro tipo di discorso, ma c’é di sicuro un effetto di programma). La sinistra dice: non preoccupatevi, faremo insieme. È questo “insieme” che mi infastidisce. Perché è una doppia falsità. In primis permette di definirsi di sinistra attraverso il pretesto della compartecipazione senza mai parlare di quello che si farà. D’altra parte, chi è “insieme”? Nel caso di Bologna, sarebbero o no i rom un soggetto sociale “insieme” a cui parlare? Torno a Rousseau. Per lui, la questione della politica non è quella del noi ma del ciascuno. È radicalmente diverso”.
– Se non capisco male, alludi a Zapatero, il quale dice, se vinco, veniamo via dall’Iraq. Vince e viene via.. giusto?
“Il caso spagnolo ci sembra straordinario solo perché abbiamo dimenticato cos’è un governo. Non sarà che ad essere straordinari siamo noi in Francia e voi in Italia?”
– Nel caso delle banlieues, ad esempio, cosa vorresti che un candidato proponesse?
“Né poliziotti né mediatori, ma un’analisi concreta delle cause economiche e sociali del disagio. Quando una persona è discriminata nel lavoro, nella scuola e in genere nelle opportunità, potrà anche essere repressa dalla polizia nelle eventuali manifestazioni di rivolta, ma di cosa può essere capace un mediatore se un governo non inverte la tendenza politica? Le banlieues sono un problema di politica non un problema di polizia. Quando la polizia interviene, la polis (il gioco di parole è più chiaro in francese: polis/ police) ha già fallito”.
– Mi sembra che Sarkozy abbia brillantemente risolto il dilemma mediatori-poliziotti, usando l’ideologia: una bella signora di origine magrebina alla giustizia. Può funzionare come icona?
“Sarkozy si presenta ovunque come un americano. Ovvero incarna una svolta della politica francese verso immagine e spettacolo; nel bene e nel male Mitterrand era un presidente più letterario con riferimenti costanti al discorso, al nesso parola politica. Non a caso i riferimenti di Sarkozy (come quelli di Berlusconi) sono più al mondo del cinema americano che a quello della letteratura europea. La sua operazione consiste, ideologicamente, nel coprire la natura dei conflitti reali con immagini e mistificazioni”.
– Saranno anche mistificazioni. Ma in Italia restiamo impressionati dal fatto che, senza battere troppi tamburi, Sarkozy faccia un governo con sette donne su quindici. È tutto fumo e niente arrosto, oppure pensi che si vedrà qualcosa anche a livello della sostanza?
“Il lavoro sulle pari opportunità è sull’agenda delle democrazie moderne, no? Il simbolo di 7 donne nel ministero è ottimo. E poi, pensa un po’: la cifra 7, come nell’apocalisse di Giovanni… è un segnale chiaro per le ragazze che studiano a scuola: anche voi potete diventare ministri. Dunque sull’immagine, niente da ridire. Ma cosa si farà concretamente per le ragazze? Cosa si farà per le giovani donne sul lavoro? Se Sarkozy applica la sua liberalizzazione del diritto del lavoro, renderà la vita al femminile molto più dura, come con la riforma Biagi . Ti ricordo le opposizioni incontrate dal CPE. [Contrat de premier emploi, una variante delle forme precarie di assunzione, n.d.r.]. La sorte delle donne sul lavoro sarà più fragile, la possibilità di avere dei figli più scarsa, ecc.”
– Appena eletto, Sarkozy ha fatto una dichiarazione di amicizia verso gli USA, ma nello stesso testo ha ammonito gli americani a farsi carico del riscaldamento globale dell’atmosfera. Soltanto una boutade o qualcosa di più, da parte di un paese, la Francia, che, al tempo di Mitterrand, ha affondato un battello di Green Peace pur di condurre a termine un esperimento nucleare a cielo aperto?
“Sono due cose distinte. Il dramma Greenpeace è troppo grave per essere evocato così. Riguarda la famosa ragione di stato, sulla quale Mitterrand non scherzava affatto. Torno alla tua domanda precisa con un passo indietro. C’é in Francia una figura molto amata: Nicolas Hulot. È il fondatore d’un programma televisivo che ha avuto un enorme successo: Ushuaïa. Faceva vedere la bellezza del mondo, una bellezza minacciata dalla modernizzazione e dall’industrializzazione. Hulot ha poi creato una fondazione per l’ecologia. È diventato sempre più popolare. C’é stato un movimento per la sua candidatura all’elezione presidenziale. Era dato all’8%. Poi ha pensato che avrebbe pesato di più senza presentarsi. Ha proposto un “patto ecologista” che ogni candidato doveva firmare. Lo hanno fatto tutti. Conseguenza prima: ha falciato il partito ecologista. Conseguenza seconda: la tematica ecologista che era molto presente con lui è scomparsa con lui. Ségolène Royal l’ha poi ricordato. Istituti di valutazione ecologista hanno dato un voto al programma dei candidati. Il PS ha preso 16,5 su 20 e l’UMP di Sarkozy un voto pietoso. Allora sì, Sarkozy eletto può promettere di occuparsi dell’ambiente. Ma non era nel suo programma. Dimmi piuttosto: non ti pare allucinante che nessuna voce si alzi per dire che il problema dell’ecologia è semplicemente lo sfruttamento capitalistico del pianeta? Perché un partito di sinistra non dice semplicemente che se non vogliamo massacrare il pianeta dobbiamo uscire dal ciclo produzione di massa/consumo di massa? È un programma politico di sinistra. Ed è semplice. E nessuno lo dice. Ti ricordi la frase di Bush: “sull’american way of life, non si può negoziare”. Ah no?”
– Che sia proprio semplice non direi. Per questo – nei limiti di spazio che ci siamo dati - rinuncerei ad approfondire confidando sulla preparazione e sulla sensibilità di chi ci legge. Dunque planiamo con una domanda più contingente. L’adesione di Kouchner al governo Sarkozy, è solo un’operazione da battitori liberi o qualcosa di più? Qualcosa di paragonabile all’adesione di Lucio Colletti a Forza Italia nel ’94? Oppure è un atto di lungimiranza politica da parte di Sarkozy?
“È un gesto molto abile. Tre considerazioni:
1) Kouchner non è una figura tipica. Fa precisamente parte degli uomini politici amati dai francesi (è stato sempre uno dei francesi più amati con l’abbé Pierre e Zidane, tutti tre specialisti del colpo di testa). Ma il partito socialista lo ha sempre emarginato. Sempre. Come possono stupirsi se accetta un posto che gli spettava anche sotto Jospin?
2) Come ha detto lucidamente Braumann, la vera domanda é: cosa farà Kouchner al governo? Non dimentichiamo che Sarkozy ha in vista un potere presidenziale forte, anzi fortissimo. Dunque adesso la domanda è: Kouchner avrà una vera autonomia? Un vero margine di manovra? Se non è così uscirà dal governo in gran fretta. È anche lui un uomo di azione....
3) Sarkozy aveva un’immagine di dirigista arrogante e autoritario. Hai potuto verificare come è riuscito a cambiare durante la campagna. Anche durante il dibattito faceva il gentleman. Adesso sì, mette delle donne al governo, apre a sinistra ecc. Sono operazioni di seduzione. Non giudicherò la sua politica su queste immagini ma sulle misure prese nell’azione concreta. (Aspetto il dibattito Kouchner/Sarkozy sul problema dei “sans-papiers” e ti ricordo che su queste misure Sarkozy, quando era ministro dell’interno, ha dimostrato di essere d’una violenza vergognosa). Lo hanno detto Lefort e Rocard: è un uomo politicamente pericoloso. Lo credo anche io.
– Per noi italiani l’intellettuale francese, la cultura francese, fa sempre un po’ gauche, magari moderatissima. E in questo senso la Francia è sempre stata attrattiva rispetto all’Europa e persino rispetto all’America. Con Chirac questo non è cambiato. Potrebbe cambiare con Sarkozy? E in che senso?
“Stai parlando degli intellettuali? Sì, l’intellettuale francese è “di sinistra” se si può dire. Ma anche lì quante sfumature, quante storicizzazioni sarebbero necessarie... Nel passare a Sarkozy, Finkelkraut o Glucksmann non hanno dimostrato di diventare degli intellettuali di destra, ma hanno svelato quello di cui eravamo convinti da tempo: che non sono degli intellettuali. Punto e basta. Direi la stessa cosa di Giuliano Ferrara. Non sopporto il discorso italiano di sinistra che dice: sì, ma è così intelligente. Non capisco la parola intelligente in questo contesto. Ferrara ha una retorica efficace (ed è pagato per questo). Ma e’ una persona che trasuda il peso delle sue enormi falsità. Se intelligente vuole dire: essere capace di convincere la gente con bugie di stato, allora penso che bisogna cambiare parola…mi pare che la tradizione usava sofista e non intelligente. Ti ricordi che quando Gorgia si vanta di poter dimostrare due tesi opposte con la stessa forza, Socrate gli risponde che piuttosto che suscitare ammirazione, tale abilità dovrebbe far nascere la paura? Finkelkraut o Glucksmann sono degli “ideologi”. La loro è una lotta complicata. Nel caso di Finkelkraut, il problema è il suo rapporto con la comunità musulmana francese. La vede come una minaccia per gli ebrei francesi. Glucksmann, dal canto suo, sostiene una causa giustissima: la difesa del popolo ceceno contro Putin. Dal momento che Sarkozy si era impegnato a difendere questo popolo, Glucksmann ha pensato di trovare un presidente eroe... Notare l’ingenuità! bisogna dire anche che l’intellettuale (francese, europeo, e anche americano) si trova a disagio in un mondo che cambia più velocemente della sua strumentazione. Mi ricordo l’ultima intervista a Pasolini. Diceva che la sinistra prende un orario ferroviario scaduto e si stupisce di non vedere arrivare i treni. “Tal crad...”.”
– Non male questa uscita in dialetto bolognese. Quasi quasi mi giustifica l’intervista! Ma prosegui pure.
“Molto seriamente: la difficoltà sarebbe di capire cosa vuole dire essere un intellettuale di sinistra. Io direi semplicemente: essere dalla parte della sofferenza inespressa, dare voce a chi non ce l’ha, costruire strumenti di analisi per combattere (sì, sì, combattere) la modernità del capitalismo. Finché non saremo capaci di combattere il capitalismo mondializzato con strumenti concettuali “nuovi” non saremo credibili. Questi strumenti devono essere dialettici ovvero storici, concreti, e ispirati all’idea che abbiamo d’una società giusta. Il filosofo come il poeta è dalla parte del concreto. Cerca di non raccontare balle. Cerca anche di smontarle. È precisamente per questo che l’ideologia lo critica per la sua astrattezza....”