In data 29 aprile 2016 è scaduta la convenzione tra la nostra Associazione e il Municipio V.
La convenzione – avente ad oggetto la concessione a titolo gratuito dell’uso dell’appartamento presso il complesso Ex Serono in Via del Pigneto n. 22 per lo svolgimento delle attività del Centro antiviolenza – è attiva da aprile 2013 e rinnovata ogni anno fino ad oggi, in supporto dell'attività di sportello che D.A.L.I.A. svolge oramai da più di dieci anni presso il Consultorio di Piazza dei Condottieri, spazio fondamentale, ma insufficiente a tutte le richieste da parte delle donne perché aperto solo 3 ore a settimana. [...]
I tragici episodi di cronaca che in questi giorni sono sotto gli occhi di tutti e tutte sono solo la punta di un enorme iceberg che vede la donna vittima dai suoi affetti più intimi, affettivi e lavorativi, che non possono essere affrontati come una questione emergenziale e tanto meno improntando un sistema poliziesco e securitario, che costatiamo quotidianamente non essere risolutivo e coerente.
Indifferenti non sono i passanti che non hanno soccorso Sara, ma chi è sordo e cieco alla evidente questione della violenza contro le donne che giorno per giorno colpisce l'altra metà del cielo.
NO ALLA CHIUSURA DEL CENTRO D.A.L.I.A.
NO ALLA CHIUSURA DEI CENTRI ANTIVIOLENZA.
MENTRE il feroce femminicidio di Sara Di Pietrantonio suscita sgomento e dibattito
MENTRE la parte più consapevole della società civile pretende risposte istituzionali
adeguate alla gravità ed alla pervasività del fenomeno della violenza di genere
MENTRE partono petizioni per aprire sportelli/centri antiviolenza in ogni Municipio
IL COMUNE DI ROMA VUOLE CHIUDERE LO STORICO CENTRO ANTIVIOLENZA “DONATELLA COLASANTI E ROSARIA LOPEZ” ATTIVO DAL 1997 NEL SOSTEGNO ALLE DONNE VITTIME DI MALTRATTAMENTI CHE VOGLIONO USCIRE DA UNA SITUAZIONE DI VIOLENZA.
CONTINUATE A LEGGERE E FIRMATE LA PETIZIONE SU CHANGE.ORG!!!
Oggi pomeriggio, al Centro Interculturale delle donne di Trama di Terre, ci siamo riunite per discutere di quello che è avvenuto ieri a Bruxelles. Eravamo circa 15 donne provenienti da Nigeria, Eritrea, Albania, Marocco, Bosnia, Costa d'Avorio, Serbia, Italia.
Esprimiamo la nostra solidarietà alle persone care delle vittime degli attentati: continuiamo a chiederci come sia possibile che degli umani uccidano altri esseri umani, causando ad altri lo stesso dolore che se venissero uccisi i propri fratelli e le proprie sorelle.
Il fondamentalismo non ha colore, non ha religione, non ha cultura. Alcune di noi hanno subito sulla loro pelle gli attacchi dei terroristi, nei loro Paesi di origine o durante il viaggio per arrivare in Italia. Sappiamo bene che cosa si prova e siamo riuscite a trovare la forza per andare avanti.
Il primo bersaglio dei terroristi sono i diritti e le libertà delle donne: il diritto alla scuola, al lavoro, a scegliere se sposarsi, chi sposare e se fare figli, a vestirci come ci pare e a decidere autonomamente del nostro corpo.
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Dopo aver organizzato, insieme a molte altre donne native e migranti della città, il corteo femminista del 13 febbraio scorso siamo state accusate dalla Lega Nord di Imola di essere “violente” perché, passando davanti al loro banchetto, abbiamo gridato in coro “fuori la Lega dalla piazza”. Qualche leghista ha persino scritto alla direzione artistica di One Billion Rising negli Stati Uniti per tentare di impedirci, in futuro, di utilizzare il logo della campagna internazionale contro la violenza maschile sulle donne.
Non ci stupisce che Lega Nord si senta colpita: non tanto da uno slogan (conflittuale ma per nulla violento – e il video pubblicato da Tuttoimola lo dimostra bene) quanto dai contenuti politici di una manifestazione che metteva in discussione le radici profonde del loro razzismo e sessismo. Le accuse che ci sono state rivolte sono l'ennesimo tentativo di mettere a tacere le ragioni che abbiamo portato in corteo, fortemente politiche e che possono essere lette nel documento pubblicato sul sito di Trama di Terre. Che ci rispondano su questo, se hanno qualcosa da dire, invece che nascondersi dietro un ridicolo vittimismo.
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Dal 7 al 12 marzo, nell'androne del Centro Interculturale delle donne di Trama di Terre, potrete vedere i prodotti del progetto Globalclothesline, arrivato per la prima volta in Italia venerdì 4 marzo scorso. il progetto, nato in Massachussets (USA) nel 1990 è stato portato a Imola da un gruppo di studentesse e docenti del Dickinson College di Carlisle (Pennsylvania – USA).
Il progetto da la possibilità alle donne sopravvissute alla violenza di condividere la propria storia con altre donne e di poter esternare i propri sentimenti attraverso la pittura sulle magliette.
Il termine “clothesline” significa “filo per stendere i panni”: il progetto vuole ribaltare l'idea per cui “i panni sporchi si lavano in famiglia”, per dire che la violenza maschile sulle donne non è una questione privata ma collettiva e globale e i “panni sporchi” vanno stesi in pubblico.