Quando si dice “ricucire” una nazione. O se volete, persino “conquistarla”. Rimetterla insieme, renderla di nuovo vivibile dopo trent’anni di guerra civile e 40.000 civili uccisi in essa. Lo stanno facendo le donne in Sri Lanka, un metro quadrato alla volta. Sono le squadre delle sminatrici.
La città pakistana di Peshawar, sul confine con l’Afghanistan, è attualmente nota per due dati di cui non c’è da vantarsi: la radicalizzazione pseudo-religiosa della sua gioventù maschile, e la fiorente industria artigiana di armi leggere, con relativo commercio. La violenza è la moneta corrente di quest’area nel nordovest del paese. Naturalmente anche qui c’è chi dice “no”, ma dev’esserci voluto un coraggio straordinario per cominciare a farlo a 16 anni, ed essendo una femmina...
Non è la prima volta che ci ritroviamo in questa sala. Le pareti, il tavolo, la teiera … quante volte sono stati testimoni delle nostre riunioni, delle nostre delusioni, del nostro disagio. Quante volte hanno accolto il nostro gruppo di donne deluse ma determinate: amiche, attiviste, alleate. Quante volte ci hanno ascoltato, mentre esprimevamo le stesse preoccupazioni. Quanto sono fragili le nostre conquiste. Quanto rimangono prive di significato le leggi approvate grazie alle nostre lotte. Quanto sono inutili le politiche che abbiamo lottato per far applicare in questo Paese che non crede nei diritti delle donne. In questo Paese in cui la posizione di una donna nella società è considerata niente di più del prolungamento del suo ruolo nella famiglia e nella tribù. In questo Paese in cui etica e morale vengono interpretate esclusivamente attraverso la definizione maschile, della quale le donne tutti i giorni pagano il prezzo.
Sulla lapidazione: la sua cultura di riferimento e le radici religiose. Un'intervista tratta dal nuovo numero della Rivista Marea "Generazioni: dialoghi e conflitti tra donne".
Mobilitazione per la donna condannata in Iran. Nuovi appelli degli intellettuali francesi. Pressione della Turchia sul governo di Teheran. In Italia lettera della fondazione Barnabei all'ambasciatore.