L'altra metà di Trama
L’attività e i problemi dell’associazione di donne che opera da 10 anni
di Laura Giorgi da il Corriere Romagna
Da dieci anni è lì che il mondo prende casa quando si trova a passare da Imola. Il mondo delle donne, che qui scoprono che un’alternativa alla solitudine, all’emarginazione, alle ansie e alle difficoltà connesse all’essere “migranti” esiste. “Trama di terre” uno dei primi centri interculturali nato in Italia ha appunto dieci anni, e due anime. Quella di associazione che si impegna in progetti di accoglienza , assistenza, mediazione culturale, e quella solo apparentemente più “impalpabile”, in quanto…culturale. Ma è proprio questa la vera “officina per la costruzione di un futuro migliore di convivenza e conoscenza reciproca in questa città. E’ questa “l’altra metà di Trama di terre”, l’anima che batte per il centro interculturale inaugurato ufficialmente nel dicembre 2000, dove ogni anno passano circa 500 donne. Qui queste donne imparano a scrivere, a volte a partire da come si impugna una penna. Dove si studia nella biblioteca allestita negli anni, si leggono i giornali, si partecipa a presentazioni di libri, seminari, ci si orienta al lavoro, ci si conosce, si diventa amiche, si parla, si parla, si parla….
E’ quest’anima che rischia di spegnersi per la solita, meschina ragione: il soldo.
“Per i servizi dell’associazione, ovvero accoglienza in quattro appartamenti per i quali paghiamo tutto dall’affitto alle suppellettili, e circa 2500 ore di mediazione culturale nelle scuole del circondario, percepiamo i finanziamenti stanziati dal Consorzio servizi sociali – spiega la presidente di Trama, Tiziana Dal Pra-. C’è però da dire che pur con l’aumentare dei servizi da noi gestiti, sono calati nel corso degli anni da 100mila euro l’anno agli attuali 84mila euro. Soldi con i quali vengono pagate le donne che prestano servizio. Per quel che riguarda il centro interculturale, invece, non abbiamo alcun supporto finanziario dall’ente pubblico. L’ultimo contributo di 15mila euro risale al 2004”.
E ora, con un debito di 30mila euro accumulato dall’ottobre del 2005 ad oggi, a comporre il quale concorrono affitto del palazzo, spese telefoniche e informatiche, utenze, aggiornamento dello scaffale interculturale e manutenzione ordinaria, il centro rischia di dover azzerare l’attività.
Il primo allarme era emerso nel dicembre dell’anno scorso e raccolto dal Corriere di Imola, al terzo convegno regionale dei centri interculturali tenutosi in città. Perché in tutta l’Emilia Romagna, e ben oltre i confini regionali, Trama di terre e il suo centro sono un punto di riferimento. Ma da allora l’amministrazione pubblica non ha battuto un colpo, e ora il centro incalza: non può più aspettare.
“In queste condizioni non siamo in grado di far ripartire i corsi di alfabetizzazione previsti per ottobre e per i quali abbiamo già decine di iscritte – spiegano le donne di Trama – né le altre attività in calendario. Perché questa sordità da parte degli amministratori imolesi di fronte al doppio lavoro di un’associazione che è ormai conosciuta in Italia e fuori? Forse in consiglio comunale non c’è piena conoscenza di quanto Trama abbia fatto e stia facendo. Per questo invitiamo di nuovo gli amministratori a venire in via Aldrovandi 31 per verificare le nostre attività, e anche i nostri conti”. E le attività del centro sono davvero tante. Le donne che vi lavorano, ialiane, africane, magrebine, dell’Est, di ogni angolo del pianeta entrato in contatto con Imola, hanno provato a fare l’elenco. Ne è risultato un volume di oltre venti pagine scritte fitto fitto.
Il ruolo fondamentale di Trama, anche come vero e proprio “ammortizzatore sociale” viene riconosciuto dunque a più livelli. Dall’azienda sanitaria locale ad esempio, dove ogni giorno ci sono medici che davanti a donne immigrate in difficoltà le indirizzano lì. Lo stesso succede con le forze dell’ordine che affidano all’associazione donne strappate alla violenza, o magari chiedono aiuto anche solo per una consulenza linguistica.
“Ci manca il riconoscimento, diciamo così, politico – conclude Tiziana Dal Pra –
Quello che chiediamo all’amministrazione non è la copertura totale dei nostri costi, ma un equo contributo, per riuscire a pagare almeno l’affitto”. Perché lo sfratto è alle porte, e davvero sarebbe un peccato.
LE TESTIMONIANZE
Arabe, africane, dell’Est, vite parallele che si sono incrociate a Trama
C’è la rifugiata. C’è la donna strappata dai vicini e dai carabinieri alle violenze domestiche e a una vita da reclusa in casa, e con lei ci sono i suoi quattro bambini. C’è la mediatrice culturale, la badante che porta una torta per le amiche con cui si ritrova. C’è la imolese che qui viene come in una palestra dello spirito e della convivenza. C’è la donna velata, c’è l’atea. A Trama di terre c’è spesso qualche giornalista che arriva da un’altra parte d’Italia, venuta qua per poi poter raccontare qualcosa che non è molto frequente trovare in un Paese che non si affranca dall’equivoco di considerare ancora, sempre e soltanto, l’immigrazione come un’emergenza. Anche ora che il fenomeno “è diventato stanziale, progressivo e di inserimento “, come affermano qua, dove di storie e di esempi ne sono passati a bizzeffe e dove si gurda ben oltre. Che cosa è Trama di terre, per loro, lo dicono le donne che ci sono passate e spesso rimaste.
Nabila, mediatrice culturale, parla per le donne arabe: “E’ un luogo infomale in cui ogni donna si rafforza vedendo tante altre esperienze di vita. Anche questo aiuta a spezzare il sistema “razzista” che ognuno ha in mente. Qui le donne straniere si sentono ascoltate, sentono che c’è chi è dalla loro parte senza pregiudizi”.
Paulette, arriva dal Camerun dove aveva fondato un’associazione che si occupava dei bambini nati da donne del suo Paese e da italiani, spesso turisti di passagio; oggi lavora in una residenza sanitaria assistenziale. “Passi di qui e ti senti subito valorizzata, in quanto donna – dice Paulette -, per quelle che sono le tue competenze, quello che sai fare”.
Sokna è senegalese e a Trama ha trovato un po’ la sua Africa: “Le donne africane fra di loro sono forti, hanno una rete famigliare, di amiche che le mantiene in sana competizione con i loro uomini. Quando le donne emigrano questa loro indipendenza svanisce, diventano succubi degli uomini. Qui invece succede quel che succedeva a me in Africa, le donne ridiventano autonome, aiutandosi”.
Karina ha una storia complicata, è armena, sfuggita a un marito violento con la sua piccola bambina, ha chiesto il permesso di soggiorno per motivi umanitari. “Quando sono arrivata ero spezzata, confusa. Qui ho trovato un contatto che mi ha ridato forza, non vorrei andare via”.
Kadija è mediatrice, vicepresidente di Trama: “Qui si danno strumenti alle donne, si insegna loro a scrivere, a parlare italiano, a cercare un lavoro. Se questo non succederà più poi non ci si potrà lamentare se sempre più donne si limiteranno a chiedere i sussidi e nulla più”.