Analisi del bisogno ed aspetti critici su cui intervenire

La crescita e lo stabilizzarsi delle comunità di origine migrante in Italia ci mette di fronte alla sfida di costruire una società interculturale fondata sul dialogo tra le differenze.

Perché questo esercizio non sia solo formale e improduttivo, è necessario che siano accettati da tutte le parti alcuni principi non negoziabili come la libertà individuale, i diritti fondamentali della persona, la parità tra uomo e donna.

Dal punto di vista del rispetto dei diritti occorre dunque considerare tutte le violazioni nei confronti delle donne, violenza, matrimoni forzati o combinati, poligamia e altre discriminazioni con un criterio universale sottolineando i principi di diritto (nazionale e internazionale) e di uguaglianza tra gli esseri umani indipendentemente dal luogo di provenienza, dalla religione e dalla cultura di appartenenza.

"I diritti umani delle donne e delle bambine sono parte integrante, inalienabile ed indivisibile dei diritti umani universali. La partecipazione piena e paritaria delle donne alla vita politica, civile, economica, sociale e culturale a livello nazionale, regionale ed internazionale, e lo sradicamento di tutte le forme di discriminazione in base al sesso sono obiettivi prioritari della comunità internazionale".

Questo è quanto scritto nella Dichiarazione della Conferenza ONU sui diritti umani del 1993 che insieme alla Piattaforma di Pechino e alla Convenzione sull'eliminazione di tutte le discriminazioni contro le donne (CEDAW – articoli 2, 15, 16) costituisce il quadro normativo di riferimento del diritto internazionale.

Il fenomeno dei matrimoni forzati si inserisce nel più ampio contesto problematico delle società multiculturali, ossia della compresenza e della coabitazione di sistemi di valori e di regole divergenti e spesso in conflitto tra loro. Un problema che porta con sé la questione del limite che un ordinamento può e deve darsi rispetto all'inclusione di principi e norme estranei ed incompatibili rispetto al particolare sistema di valori da esso assunto a proprio fondamento.

Riguardo ai matrimoni forzati (imposti, combinati, precoci) non ci sono dati statistici attendibili: il fenomeno è invisibile e sommerso, soprattutto in Italia. Ovunque le istituzioni che possono intervenire sono deficitarie e gli operatori sociali impreparati. Le comunità maggiormente interessate sono, in tutti i paesi europei, quelle provenienti dal Pakistan, dall'India, dal Bangladesh, dal Maghreb, dall'Africa Subsahariana. E' rilevante notare che molte delle pratiche tradizionali come i matrimoni forzati sono legalmente vietate anche nei paesi di origine dei flussi migratori, come ad esempio in Pakistan.

Nella Provincia di Bologna risiedono attualmente circa 50.000 donne immigrate (ISTAT, dati 2009) ed i primi otto paesi di provenienza sono: Romania (8.878 donne), Marocco (6.611), Ucraina (3.868), Albania (3.390), Moldova (3.144), Filippine (2.862), Bangladesh (1.764), Pakistan (1.292).

Le testimonianze raccolte, nella ricerca "I matrimoni forzati in Emilia Romagna: uno studio esplorativo" condotta da Trama di Terre nel 2009, mettono in luce come il rifiuto di un matrimonio forzato o combinato abbia conseguenze drammatiche sulla vita di giovani donne: violenze fisiche e psicologiche, segregazione, stupri, scompensi psichici e della salute, deportazione, a volte la morte.

Nella ricerca sopra citata sono state intervistate 40 persone tra operatori pubblici e privati, mediatrici, operatrici dei centri antiviolenza, insegnanti e ciò che emerge è una scarsa conoscenza della questione e di conseguenza una debole capacità di risposta da parte dei servizi dedicati alle problematiche sociali.

Le ragazze che riescono a denunciare il problema non trovano una soluzione. Spesso infatti i servizi esistenti non sono in grado di contrastare il fenomeno e in moltissimi casi di queste ragazze vengono perse le tracce.