UK: ancora sulle corti di giustizia islamiche
Però 200 organizzazioni e attiviste per i diritti delle donne hanno recentemente firmato una lettera aperta rivolta alla prima ministra Theresa May criticando l’inchiesta governativa sui Consigli della Sharia. Mentre una ricognizione sul sistema della Sharia e il suo impatto sull’uguaglianza di genere e la giustizia è in grave ritardo, la lettera sottolinea la preoccupazione che la ricognizione si focalizzi sulle “migliori pratiche” mentre la questione non è il confronto fra una versione “moderata” contro una “estremista” della Sharia ma verte sui diritti delle donne.
L’argomento ha prodotto discussioni fra varie attiviste e gruppi islamici, portando ad accuse di razzismo e islamofobia.
La portavoce di One law for all (Un’unica legge per tutt*) Maryam Namazie parla con la femminista algerina Marieme Helie Lucas1 a proposito delle Corti islamiche nel Regno Unito e del loro impatto sui diritti delle donne.
Maryam Namazie: I consigli della Sharia sono un sistema giuridico parallelo?
Marieme Helie Lucas: Prima di entrare nel merito della sua prima domanda sulla legge della Sharia – un po’ di storia. Il razzismo e la superiorità coloniale sono ciò su cui si basa l’istituzione di leggi separate per i “popoli indigeni”. Il Regno Unito si limita ad applicare, nel Regno Unito oggi, agli ex “nativi”, le regole pensate per loro nei Paesi colonizzati dall’Impero Britannico: in altre parole, la gente colonizzata che viveva sotto il dominio britannico nel periodo coloniale non sottostava alla legge britannica, piuttosto l’Impero Britannico scelse e codificò un misto di interpretazioni delle religioni, delle consuetudini e delle tradizioni, per creare, dal niente, le cosiddette “leggi indigene” (vedi: WLUML Occasional Paper 7: “Islamic Law and the Colonial Encounter in British India”, by Michael R, Anderson, June 1996 Publication).
Ciò sottolinea chiaramente il fatto che coloro che erano assoggettat* alla dominazione britannica non meritavano un’uguaglianza legale con i loro padroni coloniali. L’apologia di un sistema di giustizia parallelo piuttosto che l’uguaglianza di fronte alla legge è al cuore della forma britannica di colonizzazione.
Oggi, così come in epoca coloniale, una delle principali giustificazioni per codificare l’ineguaglianza formale fra gli individui di fronte alla legge era ed è il rispetto della differenza “ontologica” dei nativi; il padrone coloniale non doveva disgregare in nessun modo i costumi del popolo colonizzato.
Quando si pensa alle violente guerre di conquista, al numero di morti e feriti nel corso di imprese coloniali, alle terre e alle risorse prese con la forza, ai villaggi bruciati, alle popolazioni affamate, cose tutte arrivate con la colonizzazione, si può trovare abbastanza ironica questa improvvisa pretesa di “rispetto”.
Oggi la legge britannica del Paese si applica a tutti i cittadini, siano essi cattolici, protestanti, atei, ecc. Non un singolo cittadino è al di sopra della legge. Con l’eccezione degli ex “nativi”, siano essi in realtà cittadini britannici o migranti: loro – e solo loro – una volta ancora hanno diritto a leggi fatte per loro, perché, al di là della loro cittadinanza ufficiale, vengono ancora visti come “differenti” da – e inferiori al – all’ex padrone coloniale. “Lasciate che abbiano i loro propri costumi, questo è il loro modo di essere”.
I cittadini inglesi “veri e propri” sono regolati da leggi che hanno votato, che possono cambiare se si uniscono e fanno pressione sui loro parlamentari. Come possono le “leggi della Sharia” essere cambiate dalla volontà e dal voto dei cittadini? Una significativa parte dei cittadini britannici sono adesso sottoposti a leggi presumibilmente religiose che non hanno votato né possono cambiare con un procedimento democratico. Democrazia per i “veri” cittadini britannici, ma “consuetudini tribali e native” che non possono essere cambiate, per gli altri?
Dal momento che le “conclusioni” o i “giudizi” emanati da questi “consigli” o da questa “corti” sono automaticamente trascritti, come deve essere un giudizio, nel sistema ufficiale della giustizia (a meno che la parte insoddisfatta faccia ricorso contro il giudizio stesso), le “corti della Sharia” sono infatti parte di un sistema di giustizia parallelo in sviluppo. Una persona deve ricorrere in tribunale contro la decisione di qualcuno che “consiglia”? Il fatto che le “conclusioni” dei cosiddetti consiglieri sono equiparate e trasformate in un giudizio legale, le rende un sistema di giustizia parallelo.
Alcuni articoli sui media avevano posto l’accento sul problema fin dai primi anni del 2000. Per esempio: le corti islamiche della Sharia sono adesso “giuridicamente vincolanti” laddove l’obiettivo di creare un sistema di giustizia parallelo era confermato da alcuni dei promotori di queste corti di consiglio.
Le corti islamiche della Sharia in Gran Bretagna stanno sfruttando una clausola legale poco nota per rendere i loro verdetti ufficialmente vincolanti per le leggi del Regno Unito in casi che includono il divorzio, le questioni economiche e addirittura la violenza domestica. Una nuova rete di corti nelle maggiori cinque città sta affrontando casi nei quali Islamici coinvolti accettano di essere vincolati alle tradizionali leggi della sharia, e in base alla legge del 1996 sull’arbitrato le decisioni delle corti possono essere applicate dai tribunali di Contea o dall’Alta Corte.
Mr Siddiqi, il promotore del tribunale islamico per l’arbitrato disse: “Ci siamo resi conto che in base alla legge sull’arbitrato possiamo fare sentenze che possono essere applicate dalle Corti delle contee e dall’Alta Corte. Tale legge permette di affrontare controversie che si possono risolvere usando forme alternative di tribunali (tribunali speciali). Questo metodo è chiamato soluzione alternativa delle controversie, che per i Musulmani è ciò che sono le corti della sharia.”
Maryam Manazie: Le “corti” della Sharia sono parte di un progetto islamista? Quali prove empiriche vi sono di ciò?
Marieme Helie Lucas: Sì lo sono. Non solo in Gran Bretagna, ma ovunque nel mondo, il progetto islamico fondamentalista è quello di riportare i costumi patriarcali e la soggezione legalizzata delle donne, fra le altre cose. Prima e soprattutto questo sta accadendo nei Paesi a maggioranza musulmana. Si può vedere una tendenza globale attraverso il Medio Oriente, l’Africa, l’Asia del Sud e più di recente nel Sud-Est asiatico e nelle repubbliche asiatiche dell’ex Unione sovietica.
Per esempio l’estrema destra islamica sta facendo costantemente pressione perché l’età legale del matrimonio per le bambine sia ridotta a 9 anni e quando non riescono a cambiare la legge si assicurano che la pratica sia sempre più tollerata dallo stato.
Gli orrori che l’Europa contempla nelle azioni di Daesh2 è la realizzazione di ciò che l’estrema destra islamica pretende come “legge della sharia”; i predecessori di Daesh negli anni ‘90 in Algeria fecero lo stesso: schiavitù domestica e sessuale, matrimonio precoci, decapitazione, ecc.
Anche l’Europa è ora nell’agenda della destra islamica fondamentalista: il cambiamento delle leggi per renderle conformi alla loro idea di “leggi della sharia” (o la promozione di un sistema giuridico parallelo) e il controllo dell’educazione sono gli obiettivi principali del loro entrismo in Europa.
Per esempio in Francia nel 2008 un marito musulmano chiese l’annullamento del suo matrimonio con la motivazione che la sposa non era vergine; lei era disposta a un immediato divorzio consensuale, ma lui e il suo avvocato volevano un annullamento; attraverso questo procedimento essi cercavano di creare un precedente giurisprudenziale nella legge francese in modo che la verginità fosse considerata – con le loro parole – “una componente essenziale del matrimonio”. Ciò, ovviamente, in Francia è illegale.
È anche alla luce di questo che si dovrebbero capire gli sforzi dei fondamentalisti islamici per un emendamento della legislazione laica che proibisce ogni segno di appartenenza religiosa o politica nelle scuole statali laiche primarie e secondarie (che incidentalmente sono totalmente gratuite per gli alunni e le alunne, che abbiano o no la cittadinanza) – sia per gli allievi minori di 18 anni che per il personale della scuola, insegnanti, amministrativi, ecc. Il rifiuto delle autorità francesi di scendere a compromessi fu attaccato come atteggiamento contro gli islamici, nonostante il fatto che la legge fosse stata varata nel 1906.
La Francia si è trovata di fronte ad altri tentativi di modificare le leggi del Paese, per esempio sulla poligamia, sulla segregazione sessuale negli spazi e nei servizi pubblici, sul controllo dei contenuti dell’insegnamento nelle scuole stati laiche, ecc.
Facciamo riferimento anche al caso della donna di origine marocchina che, nel 2007, ha cercato di divorziare in Germania e le è stato negato il diritto di avviare il procedimento, in base al fatto che “nel suo Paese” solo i mariti possono avviare un divorzio. Del caso si sono occupati il New York Times e lo Spiegel. In Serbia, nell’enclave musulmana di Sanjak, si eseguono mutilazioni genitali femminili, la poligamia è praticata, si sta insinuando il matrimonio precoce (per le bambine), il tutto senza interventi legali da parte dello stato.
Ciò che sta accadendo adesso nel Regno Unito è parte di questo movimento globale per imporre specifiche (regressive) leggi e pratiche a una specifica categoria di cittadini. Sembra addirittura che non ci sia consapevolezza nel Regno unito che tutte queste leggi e pratiche che sono promosse dall’estrema destra islamica fondamentalista, non sono nemmeno necessariamente religiose, ma possono avere origini diverse, comprese le norme consuetudinarie.
Un esame incrociato molto semplice della grande diversità di leggi attraverso Paesi islamici dimostra immediatamente che, nonostante vari governi affermino che le loro leggi sono perfettamente in conformità con l’Islam, essi garantiscono differenti diritti alle donne (vedi: Knowing Our Rights, WLUML).
È decisamente falso che le donne islamiche, dovunque nei Paese a maggioranza islamica, non possano avviare un divorzio; non è vero nemmeno che tutte si debbano coprire, o che debbano avere una parte ineguale di eredità o che ci sia segregazione sessuale.
Un certo numero di donne islamiche sono e sono state capi di stato, imprenditrici, politiche, tassiste, brillanti intellettuali, ricercatrici, ecc. in alcuni Paesi a maggioranza islamica, mentre in altri le ragazze vengono fatte sposare precocemente, viene loro negata un’educazione, sono chiuse fra quattro mura.
L’agenda promossa dall’estrema destra islamica fondamentalista deve essere riconosciuta per quello che è – l’agenda di un movimento politico conservatore che non può rappresentare adeguatamente tutti gli islamici in tutti tempi e in tutto il mondo.
In altre parole le “leggi” usate dalle cosiddette “corti della Sharia” non sono particolarmente ispirate alla religione; sono solo il risultato della scelta fatta dai fondamentalisti fra consuetudini, costumi contraddittori (talvolta antagonisti) scelta fatta in base alle interpretazioni religiose più conservatrici.
Per chiarire ancora di più: sarebbe “legge cristiana” quella prevalente nei Paesi a maggioranza cristiana che permettono il divorzio o quella di Paesi che negano l’accesso al divorzio? Quella dei Paesi a maggioranza cristiana che negano l’accesso alla contraccezione, o quella dei Paesi che la criminalizzano? Qual è la vera “legge cristiana” e “chi scaglierà la prima pietra”?
Incoraggiando e cedendo a queste presunte richieste religiose in nome della tolleranza religiosa, il Regno Unito promuove nei fatti un’agenda di destra molto specifica, che sorge sotto una maschera religiosa. Capire questo ci dovrebbe aiutare ad evitare l’accusa di “islamofobia” che tenta di ridurre al silenzio l’opposizione delle donne alla limitazione dei loro diritti fondamentali attraverso questa agenda politica.
L’opposizione delle donne al cambiamento in peggio delle leggi, sotto pressione dei fondamentalismi, esiste dovunque, in tutti i Paesi a maggioranza islamica e fa sentire la sua voce – e ovviamente, esiste anche nel paesi dove gli islamici sono in minoranza e nella diaspora in Europa o in Nord America.
Non sorprende che la resistenza delle donne si faccia maggiormente sentire nei Paesi a maggioranza islamica che nei Paesi dove l’estrema destra fondamentalista gioca sul “bisogno di difenderci” e finge che la riduzione dei diritti delle donne serva alla sopravvivenza della “nostra comunità minoritaria oppressa”.
I fondamentalisti sono coloro che creano, spesso dal nulla, il dilemma “fede o diritti delle donne”, mentre molti teologi musulmani progressisti affermano di non vedere nessuna contraddizione fra la loro fede e i diritti umani universali e una totale uguaglianza di diritti fra uomini e donne.
Le autorità del Regno Unito dovrebbero essere messe al corrente del fatto che con l’istituzione – o tollerando la costituzione – delle “corti della Sharia” essi in realtà fanno una scelta politica a vantaggio dell’agenda dell’estrema destra islamica fondamentalista e a detrimento dei diritti universali che sono difesi ovunque nei Paesi a maggioranza islamica dalla popolazione progressista, che include musulmani credenti, teologi progressisti e persone che sostengono i diritti delle donne. E che il Regno Unito sarà ritenuto responsabile per aver fatto questa scelta politica.
Maryam Namazie: Alcuni fra coloro che sostengono la Sharia hanno detto che molte donne islamiche vogliono le “corti” della Sharia e che vietarle aumenterebbe gli abusi contro le donne. E’ vero questo?
Marieme Helie Lucas: Come può essere un danno per le donne beneficiare di leggi che esse possono votare e che possono essere modificate secondo le loro volontà e i loro diritti di cittadinanza? Quale beneficio può essere per le donne essere sottoposte a leggi per cui non possono votare, né a favore né contro, che non possono cambiare e che sono soggette all’esclusiva interpretazione degli uomini più conservatori autonominatisi interpreti della volontà divina?
Questo equivale a dire che l’esercizio di diritti democratici va a detrimento dei diritti delle donne. Come può questo far aumentare gi abusi?
Dal punto di vista di una logica stringente, io sarei interessata a capire come si possa dimostrare che l’esercizio di alcuni diritti vada a detrimento di altri diritti.
Tanto per discutere sul fatto che le donne islamiche vogliono le “corti della Sharia”, questo potrebbe essere il caso per qualcuna di loro… solo finché loro non si rendono conto che, in quelle corti, saranno loro negati i diritti di cui vogliono al contrario godere nei tribunali britannici in base alle leggi del Paese. La conoscenza è un’importante, addirittura cruciale, componente per fare una scelta libera e informata.
Personalmente non riesco a capire come un qualsiasi Paese democratico possa anche solo pensare di offrire la “scelta” alle donne in questi termini: “preferiresti avere meno diritti o più diritti? Avere meno diritti è meglio per te”. Qui c’è qualcosa di completamente sbagliato.
Come abbiamo detto prima, l’estrema destra islamica fondamentalista gioca la carta della comunità, spinge le donne a considerare il bisogni della comunità prima del proprio. Però quello che viene proposto non è realmente il bisogno della comunità, quello che viene preso in considerazione è il bisogno politico dell’estrema destra all’interno della comunità.
Ho dei dubbi che questo sia stato spiegato chiaramente alle donne che apparentemente “vogliono” le “corti della Sharia”.
Maryam Namazie: L’opposizione alle “corti” da parte degli attivisti laici è dettata da islamofobia, causata da una posizione contraria alla fede?
Marieme Helie Lucas: I laici non possono essere equiparati agli atei. I laici possono essere o non essere atei. Molti laici hanno fede in una religione o in un’altra. Come possono tutti questi credenti avere una posizione contraria alla fede? Ciò sarebbe andare contro i loro stessi interessi. Molti credenti nell’Islam hanno punti di vista fortemente laici e pensano che la laicità protegga la loro libertà di coscienza e la loro libertà di religione. Questo è stato eloquentemente sostenuto, per esempio, da Soheib Bencheikh, un teologo musulmano progressista molto noto ed esperto, nel suo libro sulla laicità in Francia: “Marianne e il Profeta”.
La separazione delle religioni dallo stato permette a tutti i cittadini e alle cittadine di credere e praticare liberamente (è l’articolo 1 della legge del 1906 in Francia); ciò non permette alle religioni – queste istituzioni non elettive – di interferire nella politica. In altre parole, i cattolici hanno diritto di votare e di determinare la politica del loro governo; ma i rappresentanti del cattolicesimo o lo stesso Vaticano non possono intervenire sul governo e dire ad esso cosa deve fare, quali leggi approvare, quali diritti garantire, secondo la loro visione della volontà divina (questo è l’articolo 2 della legge francese sulla separazione del 1906).
Ovviamente il Regno Unito (il cui capo di Stato è anche capo della Chiesa anglicana) ha difficoltà con il concetto di laicità, fino al punto di aver distorto la definizione originale e aver cambiato la “separazione” fra religioni e stato in “uguale tolleranza di tutte le religioni da parte dello stato”.
Bene, l’estrema destra islamica fondamentalista, pretendendo di rappresentare l’Islam e gli islamici, sta adesso domandando uguale tolleranza: che cosa farà la Gran Bretagna anglicana? Sanzionare legalmente le pratiche discriminatorie contro le donne attraverso le cosiddette “corti della Sharia”? Ha o no la Gran Bretagna ratificato la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW)? Qualcuno dovrebbe portare in tribunale la Gran Bretagna per la violazione dell’impegno con la CEDAW?
Io penso che i laici nel Regno Unito sono e rimarranno intrappolati finché non imporranno una ridefinizione di laicità come separazione fra le chiese e le religioni istituzionalizzate, e lo stato. Il concetto di “uguale tolleranza” è ciò che genera il comunitarismo, il perverso effetto di ciò che adesso vediamo nella promozione e nella istituzione del sistema di giustizia parallelo delle cosiddette “corti della sharia”.
(Traduzione a cura di Anna Picciolini, Libere Tutte – Firenze)
IN “BOTTEGA”
cfr Gran Bretagna, leggi e Corti islamiche ovvero «Chi ascolterà la nostra voce?»: oltre 300 donne vittime di abusi lanciano un appello contro i sistemi legali paralleli, ma anche il precedente Southall Black Sisters contro lo spazio dato alla Sharia in Gran Bretagna. Ringrazio di nuovo «Trama di terre» per questa segnalazione. Le immagini sono riprese dal sito «onelawforall». [db]
NOTE
1 Marieme Helie Lucas è una sociologa, politologa e saggista algerina. E’ la fondatrice e la ex coordinatrice delle “Donne che vivono sotto le leggi islamiche”, una rete di solidarietà che dà informazioni, supporto e uno spazio collettivo per le donne. Ha anche fondato “Laicità è un problema delle donne”, che si concentra sulla minaccia rappresentata dall’erosione degli spazi laici e della laicità formale, e sfida tutte le forme di fondamentalismo.
2 N.d.T. Daesh è un termine usato per indicare l’entità geopolitica che per lo più viene chiamata Isis. Sono entrambi acronimi, ma il primo contiene una nota sprezzante e negativa rispetto al secondo, più descrittivo e neutro.