Violenza sulle donne. "Percorso a ostacoli per il permesso di soggiorno"
Spinelli (Trama di Terre): “Le nuove norme peggiorano la situazione. Straniere discriminate rispetto alle italiane, bisognerebbe favorire la strada verso l’autonomia. E spendere per prevenzione e informazione”
Roma – 16 ottobre 2013 - Il permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica? Non solo è una misura insufficiente, ma rischia seriamente di peggiorare la situazione attuale, diminuendo le tutele per le donne immigrate.
A lanciare l’allarme è l’avvocato Barbara Spinelli, autrice di “Femminicidio” e responsabile dei servizi di consulenza legale di Trama di Terre a Imola. L’associazione, attiva da 17 anni, è un osservatorio privilegiato: a un centro interculturale delle donne e a un servizio di accoglienza abitativa affianca infatti un centro antiviolenza con due case rifugio a disposizione delle vittime.
Lei è stata ascoltata in commissione alla Camera durante l’iter di conversione del decreto legge sulla violenza di genere. Che ne pensa del risultato, e in particolare di quell’articolo 4, dedicato proprio alle donne immigrate, che prevede la concessione del permesso di soggiorno? “Così come è stato configurato è assolutamente insufficiente”.
Perché? “Oggi alle donne straniere che subiscono violenza e che si trovano in una situazione di irregolarità in Italia vengono già concesse dalle Questure varie tipologie di permesso di soggiorno. Ad alcune danno un permesso umanitario, ad altre, soprattutto nei casi più gravi, il permesso previsto dall’articolo 18 del Testo unico per le vittime della tratta, che si affianca anche ad un percorso di reinserimento, a quelle che hanno figli il tribunale per i minorenni può concedere il permesso previsto dall’articolo 31 del Testo Unico. C’è insomma una forte discrezionalità”. La nuova legge non migliora questa situazione? “No, perché avrebbe dovuto intervenire con una tipologia specifica di permesso in grado di coprire tutti i casi di violenza di genere, come previsto dalla convenzione di Istanbul. Si doveva partire dal principio che per le donne immigrate è più difficile sottrarsi alla violenza rispetto alle donne italiane, e che quindi alle vittime andava riconosciuto comunque il permesso di soggiorno. Invece le norme introdotte dall’articolo 4 creano un percorso a ostacoli”. In che modo? "Limitano enormemente, con requisiti stringenti, l’accesso al permesso di soggiorno. Mentre oggi può averlo chi ha subito diversi tipi di violenza, nella nuova legge si parla solo di violenza domestica e comunque questa deve manifestarsi in episodi “gravi o non episodici”. Ciò impedirà la concessione del permesso negli altri casi, c’è infatti il rischio concretissimo che ora che c’è una disciplina specifica le Questure si atterranno pedissequamente a questa”. Qualche esempio di casi che rimangono senza tutela? “Ad esempio la violenza sessuale da parte del datore di lavoro, che non è una violenza domestica. Oppure quello di una donna appena arrivata con un ricongiungimento, che viene picchiata un paio di volte dal marito, oppure ingiuriata o minacciata, e non può sottrarsi perché è una violenza lieve ed episodica. Le straniere vengono così discriminate rispetto alle italiane, devono rimanersene zitte a casa”. Che pensa del fatto che, anche se la segnalazione arriva dai servizi sociali o dai centri antiviolenza, per concedere il permesso è indispensabile il parere dell’autorità giudiziaria? “È una follia. Molte donne del nostro cento antiviolenza, ad esempio, si sono allontanate da casa ma non hanno denunciato i compagni, ora invece sarebbero tutte costrette ad iniziare un percorso penale. È un’ulteriore discriminazione rispetto alle italiane. È un approccio securitario e repressivo che di fatto prevale sulla protezione delle donne straniere. Tra l’altro quel parere allungherà i tempi e invece a queste donne il permesso serve subito per raggiungere l’ autonomia, trovare un lavoro, iniziare una nuova vita. Ci saranno anche costi più alti per lo Stato, perché intanto le donne dovranno rimanere nelle case rifugio”. La Lega Nord, durante l’iter della legge, ha paventato addirittura il rischio di strumentalizzazioni, parlando di una “sanatoria mascherata”. “Quando l’ho sentito mi sono alterata. Vuol dire che non hanno conto della dimensione del fenomeno. Le donne interessate sono un numero assolutamente esiguo rispetto al totale dell’immigrazione femminile. E poi cosa potrebbero mascherare? Servono prove, non vedo come una donna potrebbe inscenare una violenza per ottenere un permesso di soggiorno”. Proporzionalmente, le straniere sono vittime di violenza più delle italiane? “No, la vittimizzazione è analoga. Le straniere sono però soggette in maniera più forte alla violenza psicologica a causa dell’isolamento, della mancanza di reti nel luogo di immigrazione. Si fa più sentire di più anche la violenza economica, accompagnata dal ricatto legato al permesso di soggiorno. Proprio perché questa minaccia è più forte, dovrebbe trovare una risposta più severa e la nuova legge non la dà”. Le straniere sanno riconoscere la violenza subita, hanno consapevolezza dei loro diritti e degli strumenti per sottrarsi a quelle situazioni? “Il problema è una totale assenza di informazione. Non ci sono fondi, non ci sono progetti duraturi. Eppure basterebbe dare a tutte le donne, insieme al permesso di soggiorno, un opuscolo nella loro lingua che spieghi quali sono i loro diritti , che indichi ad esempio le strutture sul territorio alle quali possono rivolgersi e dove possono trovare mediatrici. Bisogna rompere l’isolamento, oggi le vittime chiedono aiuto solo quando la violenza dura già da molto tempo oppure quando c’è stata un’escalation tragica. Trama di Terre fa campagne di informazioni multilingue, siamo un luogo di incontro conosciuto in città, abbiamo mediatrici, ma noi siamo una best practice, non la norma”. La nuova legge stanzia anche 10 milioni di euro. Bastano? "No, sono pochi e poi servono esclusivamente per l’accoglienza, cioè per evitare, come sta accadendo, che chiudano le case rifugio. Non ci sono però fondi specifici per la prevenzione, per l’informazione, per la sensibilizzazione, tantomeno per intervenire in un’ottica interculturale".
Elvio Pasca, 16/10/2013, stranieriinitalia.it