Massacrate perchè abbiamo detto no al matrimonio combinato da papà
"Se mi sposo è per amore", i volti e le storie delle ragazze costrette a vivere in schiavitù. La denuncia delle associazioni: «Fenomeno in aumento tra l'indifferenza»
Il fenomeno dei matrimoni forzati è in aumento in Italia, come in altri paesi europei, a causa dell'arrivo di immigrati da paesi africani, dall'India, dal Pakistan, ma anche dall'Albania e dalla Turchia. Un fenomeno su cui non ci sono ancora dati ufficiali perché manca una ricerca nazionale sul tema. L'associazione romagnola Trama di Terra, insieme ad ActionAid, con il sostegno della Fondazione Vodafone lancia la campagna "Se mi sposo è per amore". «La pratica dei matrimoni forzati - si legge in una nota - coinvolge oggi, nella sola Italia, tante giovani donne e bambine costrette a subire violenze fisiche e psicologiche, segregazioni, stupri, scompensi psichici e della salute, sequestro e rimpatrio forzato nei paesi d'origine, a volte la morte»
Trama di terra ha raccolto le storie, i tasselli di una realtà che sfugge ai servizi sociali, alla polizia e al sistema giudiziario perché il problema rimane chiuso tra le mura domestiche, in famiglia. «Ha fatto la serva in casa perché lui le ha detto chiaramente che la sua donna era un'altra, un'algerina francese, e che lui l'aveva proprio sposata per farle fare la serva a tutta la famiglia. La maltrattavano anche», questa la quotidianità per una ventenne marocchina. «Usciva con un ragazzo marocchino, ad un certo punto si era interrotto il rapporto, poi sono tornati insieme. Quando il padre ha scoperto questa cosa l'ha obbligata a sposarsi con lui», così riferisce una mediatrice culturale sulla condizione di una sposa a 17 anni in Marocco. «Suo papà al suo rifiuto all'ennesima richiesta di tornare a casa, di lasciar stare tutto, di lasciare il lavoro, l'ha massacrata di botte, le ha perforato un timpano», qui non si è riusciti a risalire al Paese di provenienza.
Quando le ragazze, cresciute in Italia, decidono di adottare uno stile di vita diverso da quello della tradizione culturale o religiosa a cui appartengono vengono minacciate. Se non si piegano alla volontà della famiglia di lavare l'onore, sono obbligate con la forza a sposare un uomo che ripari al torto (aver avuto un rapporto sessuale prematrimoniale) e, in molti casi, rimpatriate, per costringerle più facilmente a fare in patria, ciò che in Italia sarebbe più difficile fare, anche se non impossibile.
La pratica dei matrimoni forzati o combinati è subita anche da ragazzi, ma in numero minore. E comunque, è sulle ragazze che i famigliari si accaniscono senza possibilità di ribellarsi: «Le famiglie fanno finire alle figlie la scuola dell'obbligo in modo da ottenere la carta di soggiorno poi vengono tolte loro le libertà – spiega Tiziana Dal Prà, presidente di Trama di terre - . Le madri hanno un peso negativo, si allineano sulla posizione del marito, perché a loro è delegato il controllo della morale famigliare, se accadesse qualcosa sarebbero le prime ad essere colpevolizzate».
Un circolo vizioso, da cui è molto difficile uscire, a 13-14 anni, anche a causa dell'inadeguatezza dell'assistenza fornita dallo Stato: «Da parte dei servizi sociali c'è ignoranza e sottovalutazione del problema, le ragazze si sentono dire "a casa tua si fa così, la tua cultura è questa", si antepone il diritto famigliare a quello personale, al benessere della ragazza. E poi è molto difficile chiedere aiuto perché è doloroso staccarsi dai propri cari, doversi mantenere. Alcune riferiscono delle violenze subite agli insegnanti di scuola, altre non ce la fanno e spariscono, l'anno dopo non si presentano più a lezione e di loro non si sa più nulla».
Il progetto, coordinato da ActionAid chiede una maggiore attenzione alla problematica, con una ricerca nazionale sul tema e l'estensione da subito a coloro che si ribellano al matrimonio combinato, dell'articolo 18 del Testo unico sull'immigrazione, ad oggi applicato alle vittime della prostituzione, che consente di ottenere il permesso di soggiorno. A ciò si dovrebbe aggiungere una campagna di informazione e di formazione degli operatori, per non relegare più il problema dentro le mura domestiche.
Laura Preite - 19 aprile 2012 - La Stampa