Vortice (di Valarie Kaur)
Traduzione di Maria G. Di Rienzo che aggiunge questa nota: “Valarie Kaur è un’americana sikh, autrice di filmati, attivista. Dirige “Groundswell”, movimento di fedi diverse per la giustizia. Il suo film “Divisi cadiamo” registra il razzismo, l’odio e la guarigione negli Usa dopo l’11 settembre”.
“Tati Vao Na Lagi, Par Brahm Sharnai…”. Mio nonno mi insegnò questa preghiera quando ero bambina. La mormorava mentre si legava il turbante, lavorava in giardino e ci portava a scuola in auto tutte le mattine. Consideravo questa preghiera, questo shabad delle scritture sikh, come il segreto della sua mancanza di paura. Quando fossi cresciuta, mi dicevo, sarei diventata confidente e coraggiosa come lui.
La preghiera era sulle mie labbra quando avevo vent’anni e mi stavo nascondendo in camera da letto. Un uomo della mia comunità era appena stato ucciso. Una donna pugnalata. E un’altra inseguita da una folla inferocita. I crimini dell’odio contro i musulmani eruppero attraverso gli Usa dopo l’11 settembre, ma non vennero riportati dai media.
La mia famiglia si è sistemata nel paese circa 100 anni fa, ed io sono un’americana sikh di terza generazione. Ma in quel momento, i nostri turbanti e la nostra pelle scura ci marchiavano automaticamente come sospetti, stranieri per sempre, e potenziali terroristi.
Ero terrorizzata e confusa. Mi sentivo come se una tromba d’aria stesse crescendo fuori dalla finestra della mia stanza. Volevo fare qualcosa, ma il copione diceva che una giovane donna di colore senza diploma universitario doveva tenere la testa bassa.
Sono arrivata a pensare alle crisi come questa come ai “momenti del vortice”. In questi momenti, il copione che ci hanno dato da seguire non suona vero. C’è dissonanza che risuona nelle nostre orecchie, le nostre mani tremano, nei nostri cuori si desta qualcosa, e abbiamo una scelta: continuare a sostenere lo status quo o seguire la nostra bussola morale – e saltare.
Non avrei potuto saltare da sola. Ma con la preghiera di mio nonno in mente, ho afferrato la camera da presa e ho cominciato un viaggio attraverso il paese per testimoniare i crimini dell’odio contro sikh, musulmani ed altri americani. All’inizio, mi pareva di volare. Mi sentivo invincibile con la mia videocamera e presto cominciai ad usarla per riprendere le storie delle persone che lottavano per la giustizia.
Fino ad un giorno. Nel 2004, sono stata arrestata di forza mentre filmavo una protesta a New York. Dietro le sbarre, reggendomi un braccio intorpidito che era stato malamente storto da un poliziotto, ho fatto esperienza di ciò che le donne sanno da secoli: sfidare lo status quo richiede un prezzo. Quando saltiamo nel vortice, cadiamo. Le donne e le ragazze che in tutto il mondo si oppongono all’oppressione nelle loro famiglie, o comunità, o paesi, pagano un prezzo – talvolta con le loro vite.
Dieci anni più tardi, sono una trentenne. Barack Obama è presidente, Osama bin Laden è appena morto. Non riesco ancora a scrivere senza provare dolore nel polso che mi era stato slogato.
Ma questo dolore mi ha mostrato che mettere fine ai cicli della violenza richiede la guarigione dei corpi e delle menti delle vittime e degli oppressori. Richiede l’umanizzare i nostri oppositori, di modo che noi si lavori per trasformarli, anziché per distruggerli e sostituirci a loro.
Ora so che il modo in cui operiamo il cambiamento è importante quando il cambiamento stesso. Non avrei mai appreso questo, senza cadere nel vortice. Oggi lavoro con straordinari compagni e compagne a disseppellire storie sepolte, attraverso i filmati, i reportage e le cause legale, per contribuire a guarire una nazione ancora divisa. I vortici si sono moltiplicati. Le istanze in gioco sono moltissime ed il bisogno di umanità nelle nostre lotte per la giustizia non è mai stato così grande.
Alcune settimane fa, ho condiviso la mia storia con le ragazze della scuola S. Domenico, un liceo femminile a nord di San Francisco. Alla fine del mio discorso, ho chiesto loro di condividere i loro “momenti del vortice”. Una ha alzato una mano: “Sono saltata nel vortice quando ho detto ai miei genitori di essere bisessuale. E’ stata dura, e all’inizio non hanno capito. Era il costo da pagare. Ma ora sto imparando ad essere libera.”
“Il mio vortice è stato venire dalla Cina in questo paese come migrante.”, ha detto un’altra ragazza.
“Il mio vortice è stato dire di essere ebrea in un liceo cristiano.”, ha detto un’altra ancora.
Ecco cos’ho imparato nel girovagare per gli Usa in 150 città, ascoltando assemblee scolastiche, congregazioni religiose e consigli d’amministrazione. C’è una fonte là fuori, una fonte di persone giovani che si stanno appellando alla loro fede o alla loro bussola morale per saltare nei vortici, piccoli e grandi.
Nessuna area della società ne è immune: le campagne spaziano dalla riforma delle leggi sull’immigrazione alla libertà religiosa e all’eguaglianza delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender, ma sono legate in una sola lotta per la giustizia, un movimento che guarisce e ripara il mondo. Stiamo diventando consci dell’interconnessione fra le cause più disparate, un tempo percepite ed agite come divise. E molti di noi stanno trascinando la propria fede e le proprie tradizioni nella lotta.
Come donne e ragazze, quando uniamo le braccia e saltiamo nel vortice insieme, cambiamo il mondo.
Quando mio nonno morì, io ero arrabbiata con lui perché mi aveva lasciata prima di insegnarmi il segreto del suo coraggio. La notte precedente il funerale, compresi infine il significato della preghiera che mi cantava da bambina.
“Tati Vao Na Lagi, Par Brahm Sharnai…” Significa: “I venti roventi non possono toccarmi, il Divino mi fa da rifugio.”
Fu la sua ultima lezione per me: quando salti nel vortice, cadi. Ma con la verità nel tuo cuore, sarai riparata dai vorticosi venti bollenti – e ti solleverai per cambiare il mondo.