Trama di terre: lo spazio che diventa luogo
“Campi, alberi e giardini erano per me solo spazio finché tu non li hai trasformati in luogo”. Questo lo scriveva Goethe. E questo lo dice anche Tiziana dal Pra, presidente e fondatrice del Centro interculturale Trama di Terre di Imola. Un centro che è uno spazio aperto, vissuto, accogliente. “Accogliente di colori” precisa Tiziana “non ricco di oggetti o mobili lussuosi, ma ricco perché chi entra si deve sentire accolto.” E in mezzo ai libri, scaffali, tavolini, tappeti e oggetti provenienti da tutto il mondo, non ci si può non sentire a proprio agio.
Il “luogo”- Mentre sedute al tavolo chiacchieriamo con Tiziana , in cucina alcune donne stanno preparando da mangiare, svuotando i sacchetti della spesa. Peperoni gialli e rossi, zucchine e verdure in gran quantità. Nel cortile alcuni bambini giocano, mentre altre ragazze chiacchierano riscaldate dal tiepido sole autunnale.
“Senza luoghi non si costruiscono relazioni” spiega semplicemente Tiziana “per questo è importante che Trama di Terre sia un luogo riconosciuto e riconoscibile. Un luogo che attraverso il passaparola delle donne diventi il luogo delle donne”.
Ed è un luogo dove molte donne straniere possono trovare un aiuto per imparare la lingua, per relazionarsi, per acquistare autostima, per vivere senza essere l’ombra del marito, per stare bene con i propri figli, ma soprattutto, come insite Tiziana, per imparare a compiere delle scelte, a capire che cosa si vuole davvero.
“Io non insegno, io faccio vedere, rendo possibile una scelta. E l’uscita dal privato diventa importantissima. Si sceglie se uscire: e per uscire bisogna saperla vivere, la città”.
Le donne che vengono al centro interculturale provengono tutte da svariate nazionalità: ucraine, moldave, cinesi, marocchine, tunisine. E sono tutte donne immigrate. “Perché il mondo dell’immigrazione specialmente femminile rimane sconosciuto ai più. Ecco io direi che si tratta di un grande osservatorio sull’immigrazione”.
Trama di terre si costituisce come spazio fisico nel 2000: da associazione nel 1997, è ora diventato un vero e proprio luogo di accoglienza, ascolto e sostegno per donne immigrate, situato al centro di Imola. In qualsiasi momento della giornata si può entrare o uscire: 2 grandi portoni aperti al pubblico, alla cittadinanza, indicano la trasparenza delle attività svolte dal centro. Accoglienza prima di tutto, ma anche consulenza legale, formazione -corsi di italiano per straniere- iniziative culturali, e infine anche appartamenti per donne in difficoltà.
Non solo italiano- “Certo, non si può pensare di insegnare solo l’italiano nei corsi. Perché si ha una grande responsabilità nei confronti delle donne, che è quella di parlare del corpo, della sessualità, dell’uso del denaro …” Non si tratta solo di un problema di lingua per le donne immigrate: questo è solo il primo passo.
“Direi che il centro è un osservatorio proprio perché si ha in mano il cambiamento” spiega la presidente “Ad esempio: un anno si possono iscrivere al corso solo donne arabe. L’anno dopo solo le cinesi. Dipende. Si raccolgono storie, domande, problemi. E si fanno dei servizi rispetto ai bisogni che ci sono”.
L’anno scorso al corso di italiano si sono iscritte più di 200 persone. E le 3 classi non suddividevano le donne per nazionalità, ma in base al livello di comprensione di ognuna. Cinesi insieme a marocchine. Ucraine con moldave. Capitava poi anche che arrivasse un uomo, e le donne lo accoglievano lo stesso. Alcuni anni ci sono state più analfabete di altri –e anche questo indica il bisogno di un servizio.
Quest’anno si darà una grande importanza al tema dei diritti e le partecipanti sono soprattutto ragazze, appena uscite dall’adolescenza. Anche discutere di una tragedia come quella capitata a Pordenone a Sanaa, una ragazza marocchina come molte di loro, potrà essere utile.
Differenze identitarie- Nelle classi si respira un’atmosfera di multiculturalità – multiculturalità accogliente- come in tutto il centro. Anche se i problemi ci sono, e Tiziana non si nasconde dietro all’entusiasmo nel confessare i problemi di relazionarsi con persone provenienti da paesi diversi. La cosa più difficile è gestire la quotidianità degli appartamenti.
“Il luogo di provenienza determina anche la formazione culturale e identitaria. Essere nata in un villaggio è completante diverso da essere nata in città, in Italia, come in Marocco”. Per questo, secondo Tiziana, quando si è di fronte a simili differenze di comportamento deve scattare innanzitutto la sospensione del giudizio. Altrimenti si cade nel pregiudizio.
Ci racconta la storia di una donna tunisina che viveva in uno dei loro 4 appartamenti. “Per pulire per terra noi lasciavamo in casa degli stracci normali. Lo spazzolone non c’era. Lei aveva fatto una palla con questi stracci e batteva nel pavimento. A questo punto, quando l’ho vista, mi è scattata la sospensione del giudizio: o è matta o qualcosa non quadra. Ma poi so che bisogna fare un passo in più. Cercare di capire perché. E così ho capito anch’io. Lei batteva sul pavimento perché a casa sua, nel suo villaggio, non c’era pavimento: batteva la terra. Ecco tutto il lavoro che devi fare: imparare a capire perché c’è un determinato comportamento”.
Sospensione del giudizio e poi comprensione. Cercare di comprendere che esiste qualcosa di completamente diverso dal tuo modo di pensare. Però Tiziana insiste nel dire che aiutare e capire queste donne spesso non basta. Bisogna che ci sia una forza di volontà, una decisione di scelta da parte delle donne di essere aiutate e sorrette. Sorrette in un percorso più ampio.
“Io sono una che dice che bisogna informarsi, studiare, leggere, sapere quello che accade perché non basta altrimenti affidarsi all’aiuto altrui. Noi vogliamo che queste donne siano in condizione di saper scegliere. Anche se questo è molto difficile, considerando che esistono 170 nazionalità diverse”.
Il gomitolo di lana- Tiziana alla fine ci parla di un film. Si chiama “Il gomitolo di lana” di Fatma Zohra Zamoum, e spesso viene proiettato durante i corsi di italiano.
E’ ambientato in un appartamento a Parigi dove vive una donna algerina con suo marito e suo figlio. Il marito esce sempre, lei se ne sta in casa con suo figlio quando ad un certo punto, un giorno, lui scappa e va verso la porta. Prova ad aprirla ed è chiusa. Solo in questo momento anche lei se ne accorge. Prima non ci aveva mai fatto caso perché non aveva mai tentato di uscire. Chiede spiegazioni al marito e riceva ceffoni. Poi piano piano, tenta di trovare dei modi per comunicare con l’esterno, per uscire dal “carcere” del suo appartamento: si passa i dolci con una vicina grazie ad un gomitolo di lana e in seguito anche le chiavi. Fino a che riesce a uscire al parco a giocare con suo figlio e non torna più.
“Ecco questo è l’obiettivo” spiega Tiziana “far capire che alcune cose accadono perché tu le lasci accadere”.
Prendendo ad esempio il film, Tiziana e le altre donne del centro cercano di spiegare alle donne straniere che i figli possono essere la prima valvola di un cambiamento. E’ il figlio che nel film fa capire per la prima volta alla protagonista che entrambi sono rinchiusi come in un carcere. E’ il figlio che la sprona a trovare modi di comunicare con l’esterno.
Se le donne vivono isolate, i figli non possono esserlo. Avranno bisogno di giocare fuori al parco, di andare a scuola. Avranno bisogno di un medico. Della città. Questa è la prima cosa che le madri dovrebbero intuire.
Eppure ci sono ancora molte donne che rimangono chiuse in casa, completamente isolate dal mondo. “Una donna era stata lasciata chiusa a chiave dal marito in un appartamento per 3 giorni in agosto con i suoi 4 figli” racconta Tiziana “Abbiamo mandato i pompieri per soccorrerla. Però lei ha ritirato la denuncia nei confronti del marito che l’aveva chiusa dentro, e denunciato la mediatrice che l’aveva salvata”.
Oppure esistono situazioni dove i figli vengono ricattati dalla madre. Costretti a scegliere la loro famiglia, quando la loro famiglia rappresenta un fallimento, mentre il resto può essere ancora una possibilità di vita per loro.
Purtroppo esistono anche tutti questi casi. E allora la sospensione del giudizio? La comprensione? L’aiuto incondizionato? Ne vale la pena?
Tiziana ci accompagna a fare un giro per il Centro. Una bambina allegra ci corre incontro. Sta giocando nel cortile. Ci accompagna saltellando di sopra nell’appartamento di L., una signora bionda molto timida dell’est europeo che ci accoglie con un sorriso dolce.
E’ quasi l’ora di pranzo stanno preparando tutti da mangiare, al piano di sotto. Le verdure colorate hanno preso la forma di un’invitante torta salata. C’è un via vai allegro e festoso.
E, sì, penso che, nonostante i problemi, ne valga la pena.
Francesca Mezzadri
(Intervista a cura di Francesca Mezzadri e Sofia Rapi)