Le religioni brandite come spade verso chi ci infastidisce, se fossi Dio sarei arrabbiata
Ci butteremo dietro le spalle anche questa, non c’è dubbio: abbiamo ingoiato l’onorevole Mussolini che urlava in diretta all’onorevole Luxuria “meglio fascisti che froci”, così come abbiamo ingoiato che la stessa Mussolini e quasi tutte le altre colleghe di tutti i partiti venissero aggredite verbalmente con epiteti da caserma quando si presentarono in Parlamento con magliette contro la violenza alle donne. Ora l’onorevole Daniela Santanchè, donna e “politico” (neutro maschile di rigore) come lei si definisce dalle pagine del suo raffinatissimo e costosissimo sito web grida alla collega Luxuria “deviato”, un modo un po’ retrò per indicare essere “contronatura” ogni scelta e orientamento sessuale non conforme alla morale eterosessuale delle tre grandi religioni rivelate. Ma chi di spada ferisce di spada perisce, ed ecco che la stessa difensora della sessualità a senso unico viene minacciata dagli islamici fondamentalisti per la sua battaglia contro il velo e la segregazione di genere in molti paesi musulmani. Certo, occorre dire che le minacce di morte dei fanatici religiosi islamici sono pericolose e serie e l’ultima lapidazione di una ragazza in Afganistan sta lì a ricordarcelo. Il punto però è un altro: quanto è possibile ancora sopportare che nel nome di questa o quella religione le persone debbano soffrire, essere offese, insultate? Sembra si riesca a superare tutto, come se ormai l’invenzione del telecomando avesse mutato antropologicamente così tanto le nostre esistenze da far scomparire l’emozione, qualunque emozione, appena arriva il prossimo evento che lo zapping ci impone. Abbiamo digerito le (poche) reazioni e le (rare) inchieste e dibattiti sul femminicidio universale, trasversale e interreligioso per poi restare appena appena sorprese quando due esponenti politici di spicco, uno a capo di superpotenza mondiale, tengono comportamenti che definire osceni è poco nei confronti di metà popolazione del pianeta.
Da una parte spicca Vladimir Putin, che fa bella mostra di sé nel commentare quanto invidia il collega premier israeliano Katsav per l’accusa di stupro plurimo, dall’altra quel gentiluomo di Aznar si secca per una domanda scomoda rivoltagli da una giornalista televisiva e dunque in diretta le infila nella scollatura una biro, come risposta. Neanche ha ritenuto di offenderla con le parole: la prossima volta ci aspettiamo che le tocchi direttamente il fondo schiena in diretta, per dare peso alla sua opinione del genere femminile. Ovviamente le giornaliste e i giornalisti che hanno stigmatizzato l’accaduto sono stati invitati con il sorriso a non fare del “femminismo da salotto”, una simpatica e leggiadra definizione rivolta a chiunque ultimamente non stia allo scherzo goliardico pesante o non si allinei con l’ammirazione verso reati gravissimi, qual è per esempio lo stupro. O forse no? L’unica indignazione possibile e giusta, per raccapricciante paradosso, è quella rivolta verso chi “insulti” entità spirituali e immateriali, quali dio nella sue varie traduzioni e i profeti.
Che ironia: fare del male, con le parole e con i fatti verso le persone vere, i loro corpi e i loro sentimenti non fa più scalpore, anzi si stigmatizza chi (sempre più di rado) si indigna, mentre contravvenire all’immateriale volere di un altrettanto immateriale potere soprannaturale è il vero peccato. Le religioni, tutte nessuna esclusa, brandite come spade verso chi ci infastidisce, sono ormai diventate il modo più economico per fomentare volgarità, odio, violenza, pregiudizio, esclusione. Alla faccia di chi sostiene che non si fa politica con la fede.