Le donne continuano a morire in Emilia-Romagna e in Italia, uccise dai loro mariti, compagni o ex partner, secondo una dinamica che spesso vede lui suicidarsi subito dopo aver ucciso lei. La stampa parla di “omicidi-suicidi” ma si tratta di una lunga catena di femicidi in cui le donne vengono uccise per motivi legati al loro essere donne, ovvero per la relazione asimmetrica uomo-donna, che vede quest’ultima privata del diritto all’autodeterminazione, alla libertà di scelta, alla vita. Spesso infatti le donne vengono uccise perché vogliono lasciare i loro partner e il troncamento della relazione non viene accettato dagli uomini.
Le donne continuano a morire e nel frattempo i centri antiviolenza, veri presidi attivi nel contrasto della violenza di genere, continuano ad avere vita difficile nel nostro paese. A Roma, in questi giorni, il servizio comunale SOS Donna al Casale Rosa di via Grotta Perfetta ha chiuso i battenti. Le operatrici della cooperativa BeFree che lo ha gestito in questi anni hanno riconsegnato impotenti le chiavi al Comune.
Roma, 14 apr - Ancora nessuna tutela per le donne vittime di violenza, nonostante l'introduzione nel decreto attuativo del Jobs Act - D.lgs. 80/2015 - del congedo per le donne vittime di violenza che intraprendono percorsi di protezione.
La legge prevede per le lavoratrici dipendenti sia pubbliche che private, e per le collaboratrici a progetto, inserite in percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, il diritto di astenersi dal lavoro per motivi connessi al loro percorso di protezione per un periodo massimo di tre mesi.
Dopo otto mesi dall'entrata in vigore del decreto tale diritto è ancora scritto sulla carta ma non è esigibile.
La responsabilità della mancata esigibilità ricade interamente sull’Inps nazionale, che non ha ancora emanato in proposito la circolare applicativa.
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La Giornata internazionale della donna si pone, anche quest’anno, come un’occasione per riflettere sullo stato dei diritti delle donne nel nostro paese. Quali sono le lotte del presente e le sfide per il futuro delle donne italiane, all’alba di questo 8 marzo 2016?
In Italia il femicidio continua a essere una piaga sociale che vede uccisa dalla violenza maschile circa una donna ogni tre giorni. In Emilia Romagna, nel 2015 ben 6 donne sono morte uccise dai loro partner ed ex partner.
Il femicidio è l’apice di una lunga serie di violenze, forme di discriminazione e disuguaglianza che le donne si trovano a vivere e sperimentare. Recente è l’inasprimento della multa per il reato di aborto clandestino varato dal Consiglio dei Ministri il 15 gennaio scorso: le nuove norme prevedono, per la donna che ricorre all’IVG entro i 90 giorni, una multa fra i 5mila e i 10mila euro. La sanzione puramente simbolica prevista dal precedente articolo 19 della legge 194, che consisteva in sole 51 euro, viene così snaturata e sostituita da un provvedimento che punisce solo le donne in un paese, l’Italia, dove le condizioni di accesso all’interruzione di gravidanza sono difficili quando non impossibili, dato che l’obiezione di coscienza per medici e infermieri si aggira intorno al 70%.
Alessia Della Pia, 39 anni, è la sesta donna uccisa in Emilia-Romagna nel 2015. Picchiata e poi assassinata dal compagno Mohamed Jella, si aggiunge alla lunga lista di femicidi in Italia. L’uomo si è dato alla fuga dopo aver chiamato l’ambulanza e non è stato ancora trovato dalle forze dell’ordine.
Ancora una volta sui media si assiste a campagne di disinformazione che vogliono dare una razza e un colore alla violenza. Il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna ribadisce che la violenza sulle donne è un fenomeno trasversale a età, classe sociale e appartenenza culturale. L’uomo violento non ha un identikit e non ha una nazionalità.
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Un emendamento alla legge di stabilità toglie diritti e libertà alle donne picchiate che vanno al Pronto Soccorso.
L'emendamento configura infatti un percorso obbligatorio, e a senso unico: una donna che si rivolge al Pronto Soccorso sarebbe automaticamente costretta un tracciato rigido, senza poter decidere autonomamente come agire per uscire dalla violenza, e si troverebbe di fronte un magistrato o a un rappresentante della polizia giudiziaria prima ancora di poter parlare con una operatrice di un Centro Antiviolenza che la ascolti e la sostenga nelle sue libere decisioni.
L’emendamento quindi mette in pericolo l’incolumità fisica e psichica delle donne che subiscono violenza maschile, e rischia di compromettere l'emersione del fenomeno. Questo emendamento è frutto di un analfabetismo costituzionale, legislativo, sociale e culturale.
Va ritirato immediatamente!! Leggete l'appello dei Centri Antiviolenza.