RIPRENDIAMOCI LE STRADE! Per dire NO alla violenza maschile sulle donne. VERSO UN CORTEO FEMMINISTA A IMOLA IL 13 FEBBRAIO - One Billion Rising
Se davvero per le donne è così pericoloso uscire,
perché non si impone il coprifuoco agli uomini?
(Mona Elhatawy, femminista egiziana)
One Billion Rising è una manifestazione mondiale di lotta contro la violenza maschile sulle donne, sulle bambine e sulle ragazze. Negli anni scorsi, dal 2013 in poi, abbiamo riempito le piazze di tutto il mondo per danzare il nostro desiderio di autodeterminare le scelte della nostra vita. Quest’anno, a Imola, la danza non ci basta più. Vogliamo un CORTEO FEMMINISTA fatto di donne di tutte le età, le origini, le classi sociali, che faccia sentire forte il nostro rifiuto della guerra, dei fondamentalismi e di tutte le violenze e le ingiustizie che ricadono sulla nostra pelle perché siamo donne. Il corteo culminerà in piazza Matteotti, dove danzeremo ancora una volta sulle note di Break The Chain.
Di seguito riportiamo alcune idee chiave intorno alle quali intendiamo costruire il corteo.
VOGLIAMO COSTRUIRE UN FEMMINISMO MIGRANTE, ANTIRAZZISTA E CONSAPEVOLE DELLE DIFFERENZE DI CLASSE E DI STATUS TRA LE DONNE
L'intercultura è un processo complesso, da curare giorno dopo giorno nel dialogo e nel conflitto, e che fallisce se non si mette al centro la salvaguardia dei diritti e delle libertà individuali delle donne. Per questo parliamo di INTERCULTURA DI GENERE.
L'antirazzismo “neutro”, che non nomina e non tiene conto delle discriminazioni, delle violenze e del controllo sulle donne che si esercitano all'interno delle comunità migranti, presta il fianco al razzismo delle destre: entrambi esprimono una cultura maschilista indifferente a quanto avviene sulla pelle delle donne.
Il sessismo è un problema dei maschi, nativi e migranti, che si ripercuote pesantemente sulle vite delle donne, anche se in maniera diversa a seconda degli strumenti che abbiamo per difenderci. Questi variano a seconda della nostra provenienza geografica e culturale, dell'età, della condizione economica e dello status legale.
La violenza maschile sulle donne non ha colore, religione, né cultura ma è trasversale a tutte le società patriarcali perché serve a mantenere uno squilibrio di potere tra maschi e femmine. Tuttavia, sappiamo che vi sono forme di violenza importate con la migrazione, che ricadono principalmente sulla pelle delle donne straniere, quando non sono messe nella condizione di far valere i loro diritti.
Per questo chiamiamo alla lotta un nuovo FEMMINISMO MIGRANTE, che sappia tenere conto delle differenze di classe e di status che influenzano profondamente le possibilità di autodeterminazione delle donne.
È da qui che dobbiamo ripartire per ricostruire un movimento femminista forte, capace di contrastare il sessismo crescente e l'avanzata dei fondamentalismi e dei fascismi.
VOGLIAMO POLITICHE DI ACCOGLIENZA DELLE DONNE RICHIEDENTI ASILO CON UN'ATTENZIONE AL GENERE
Le donne e le bambine migranti, richiedenti o beneficiarie di protezione internazionale, vivono molteplici forme di violenza che hanno un carattere continuo e trasversale. Queste non sono limitate al momento del viaggio ma comprendono i vissuti del paese di origine, dei paesi di transizione e di arrivo.
Nel paese d’origine e anche all’interno delle comunità insediatesi nei paesi d’arrivo, si tratta di discriminazione di genere, violenza domestica da parte di familiari e partner, difficile accesso ad un sistema educativo e socio-assistenziale efficiente, abusi legati a pratiche tradizionali come il matrimonio forzato (compreso quello precoce) e le mutilazioni dei genitali; il tutto esasperato da fondamentalismi religiosi sempre più diffusi e radicati e dalle guerre in corso.
In mancanza di corridoi umanitari, le/i migranti sono costrette/-i ad intraprendere viaggi in totale insicurezza, cosa che per le donne costituisce un pericolo molto maggiore, in quanto sono esposte a stupri sistematici usati anche come arma di ricatto per sfruttarle economicamente e sessualmente.
Nei paesi di transito e d’arrivo, le donne trovano altra violenza. In assenza di politiche di accoglienza che adottino uno sguardo di genere, i centri di cosiddetta “accoglienza” sono spesso teatro di abusi sessisti; fuori dai centri, oltre alla sempre crescente discriminazione razziale intrecciata a quella di genere, c’è la violenza istituzionale di politiche economiche e sociali che, rafforzando povertà e diseguaglianze, ricade doppiamente sulla pelle delle donne migranti.
Nell’attuale contesto di quotidiane violenze a sfondo sessista e razzista, diventa di fondamentale importanza denunciare gli abusi vissuti dalle donne migranti e richiedenti asilo e sostenerle nella realizzazione dei loro progetti di vita.
VOGLIAMO POLITICHE REALI A TUTELA DEI DIRITTI DI AUTODETERMINAZIONE DELLE DONNE
Nonostante i proclami, le politiche del governo Renzi contro la violenza maschile sulle donne e per le pari opportunità continuano ad essere contraddittorie, rivelando le solite strumentalizzazioni partitiche sui corpi e i diritti delle donne. In particolare:
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L’Italia continua a non avere un ministero per le pari opportunità, a fronte d’una situazione drammatica: in un quadro di diminuzione degli omicidi totali, sono in aumento le uccisioni di donne in generale, e in particolare i femminicidi (delitti di genere, che hanno per vittime le donne in quanto tali); le donne continuano a percepire un salario minore degli uomini; la cultura dello stupro e del sessismo è imperante; la cura della famiglia, di figli/e e anziani/e, è ancora responsabilità pressoché esclusiva delle donne.
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Al 20 novembre 2015 ActionAid, Wister e D.i.Re. segnalano che solo sette delle amministrazioni regionali rendicontano in modo chiaro e trasparente come stanno utilizzando i fondi ministeriali stanziati dal governo per contrastare la violenza sulle donne. Cinque sono le Regioni che hanno reso nota la lista dei centri antiviolenza che hanno ricevuto o riceveranno i fondi per il biennio 2013/2014. L’indagine di D.i.Re. registra che molte risorse sono state destinate a enti o associazioni prive di esperienza nel lavoro con le donne contro la violenza maschile. Ancora una volta non sono stati ascoltati e supportati i centri antiviolenza “storici” che nascono da un percorso femminista e lavorano ogni giorno affinché la violenza non si riduca a fenomeno sanitario o d’ordine pubblico, con la tendenza a vittimizzare le donne e a sollevare gli uomini dalle proprie responsabilità.
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A dicembre 2015 il governo, nel quadro della legge di stabilità, ha approvato il c.d. “Percorso Rosa” (emendamento n.1.131 al Ddl Atto della camera 3444 “Legge di stabilità”), un codice di tutela delle vittime di violenza (minori, donne, persone anziane, persone con disabilità) che, oltre ad assimilare la violenza maschile sulle donne a qualsiasi altra violenza esercitata su “soggetti deboli”, risulta «[…] obbligatorio, e a senso unico: una donna che si rivolge al Pronto Soccorso sarebbe automaticamente costretta un tracciato rigido, senza poter decidere autonomamente come agire per uscire dalla violenza, e si troverebbe di fronte un magistrato o a un rappresentante della polizia giudiziaria prima ancora di poter parlare con una operatrice di un Centro Antiviolenza che la ascolti e la sostenga nelle sue libere decisioni. L’emendamento quindi mette in pericolo l’incolumità fisica e psichica delle donne che subiscono violenza maschile, e rischia di compromettere l’emersione del fenomeno. […] Tali manovre, che dovrebbero essere inammissibili nella legge di stabilità, […] autorizzano così una vittimizzazione istituzionale delle donne che subiscono violenza. […] in aperta contraddizione con la vigente legge 119/13, con il pur discutibile Piano Nazionale Antiviolenza appena firmato dal Governo, con tutte le leggi Regionali in materia»1.
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Il decreto legislativo sulle depenalizzazioni varato dal Consiglio dei Ministri il 15 gennaio scorso prevede un inasprimento esorbitante (da 51 a 5-10.000 euro) delle multe per le donne che, per interrompere la gravidanza, si rivolgano a strutture non accreditate o a medici non autorizzati (Legge 194/69, art.19). Sotto pretesto di tutelare la salute delle donne, è una misura dall’evidente finalità deterrente e punitiva, lesiva del diritto di libera scelta delle donne, e recante un grave risvolto discriminatorio, poiché i servizi previsti dalla L.194 non sono garantiti uniformemente in tutto il territorio nazionale, specie a causa della presenza di medici obiettori2. Tutte le donne debbono accedere liberamente a un’interruzione di gravidanza praticata in condizioni di sicurezza sanitaria e nel pieno rispetto della loro sfera emotiva: tale possibilità rientra fra i diritti sessuali e riproduttivi, cioè fra i diritti umani delle donne.
VOGLIAMO UN PAESE LAICO, CHE RIFIUTI LE INGERENZE DELLE RELIGIONI NELLE POLITICHE PUBBLICHE
Il mondo è pieno di teologi e teologhe che dimostrano che la religione non è necessariamente lesiva dei diritti delle donne. Su questo tema, ciascuna di noi la pensa diversamente.
Tuttavia, crediamo che le scelte religiose debbano rimanere scelte individuali, senza ingerenze nelle politiche e nelle leggi dello Stato, nel sistema educativo, nel sistema sanitario e nella ricerca scientifica.
Le religioni (in particolare quelle monoteiste ma non solo) vengono troppo spesso utilizzate dagli uomini e da alcune élite come uno strumento che dà loro un potere assoluto per esercitare controllo e violenza sulle donne.
La laicità dello Stato è condizione fondamentale dell’esercizio delle libertà individuali, in primo luogo quelle delle donne.
Al contrario, i regimi totalitari, più o meno legittimati dalle gerarchie religiose, traggono forza dall’asservimento delle donne, chiudendole nelle case e relegandole al ruolo di “madri della patria”.
Noi ci opponiamo ai venti di neofascismo e neonazionalismo che soffiano sull'Europa che, innalzando muri contro i/le migranti e nascondendosi dietro l'ideologia dello “scontro di civiltà”, gettano le basi a regimi totalitari, da sempre nemici delle donne.
VOGLIAMO POLITICHE DI WELFARE CHE NON RICADANO SULLE SPALLE DELLE DONNE
Una ricerca di McKinsey & Company3 ha stimato che il valore del lavoro di cura non pagato svolto dalle donne nel mondo è pari a diecimila miliardi di dollari, una somma equivalente più o meno al Prodotto interno lordo della Cina. Se tutte le donne che si occupano dei loro familiari costituissero un'unica nazione, la loro sarebbe la quarta economia più importante al mondo.
In Italia il sistema di welfare è centrato sulla famiglia “tradizionale” (eterosessuale fondata sul matrimonio) e quindi sul ruolo della donna come colei che si sobbarca tutto il lavoro di cura. Questo tipo di famiglia continua a confinare le donne in una gabbia di lavoro domestico non riconosciuto e non pagato, mentre la violenza maschile è funzionale a mantenerle in questo ruolo subordinato.
Nonostante sia ravvisabile un cambiamento sociale nelle nuove generazioni, siamo ancora ben lontane da una redistribuzione paritaria del lavoro domestico e di cura tra uomini e donne.
Con la continua erosione dei diritti sul lavoro, i livelli altissimi di disoccupazione femminile e il sempre più ostacolato accesso alla pensione, stiamo perdendo una serie di conquiste che permettevano alle donne di essere autonome e di avere maggiore accesso al mondo del lavoro, come asili nido e scuole di infanzia accessibili a tutte/i.
Quando le donne “native” rifiutano il doppio carico del lavoro domestico, spesso tocca alle migranti tappare le falle di un sistema di welfare insufficiente, con lavori altamente usuranti, poco tutelati e sottopagati.
Per questo vogliamo politiche di welfare che riconoscano il lavoro di cura come un lavoro importante e degnamente retribuito e che incentivino i maschi a farsene carico al pari delle donne.
VOGLIAMO CHE I MASCHI SI ASSUMANO LA RESPONSABILITÀ POLITICA DI DIRE NO AL SESSISMO E ALLA VIOLENZA SULLE DONNE
Il corteo del 13 febbraio sarà un corteo di donne. Anche se molti uomini si ribellano con noi al patriarcato e ci sostengono ogni giorno siamo stanche che la violenza maschile sia considerata sempre e solo un problema delle donne.
Ci piacerebbe che le scelte dei maschi capaci di mettere in discussione la mascolinità dominante a partire da se stessi non rimanessero scelte individuali ma diventassero politiche.
Ci piacerebbe vedere uomini, nativi e migranti, che si assumono la responsabilità politica di spezzare la complicità e di dire pubblicamente e collettivamente che il sessismo è un problema che riguarda prima di tutto i maschi.
Ci piacerebbe vedere uomini scendere in piazza in prima persona, fuori dalle strumentalizzazioni dei partiti, contro gli stereotipi machisti che i loro simili diffondono e che ledono la loro dignità oltre ad avere ripercussioni violente sulle vite delle donne.
Invece la più visibile forma di opposizione maschile alle violenze sessiste di Colonia è stata “Giù le mani dalle nostre donne”. Ma noi non ci riconosciamo in questa affermazione, che rimanda a un'idea di patria e di possesso che non vogliamo.
Con gli uomini che condividono questo percorso ci vediamo in piazza Matteotti per la danza finale.
VI APETTIAMO A IMOLA
SABATO 13 FEBBRAIO 2016
ore 16: concentramento nel piazzale della Stazione (rotonda dedicata alle donne che con coraggio e sacrificio fecero la Resistenza)
ore 16,30: PARTENZA CORTEO
ore 18: DANZA IN PIAZZA MATTEOTTI sulle note di Break the Chain
Promossa da Trama di Terre/Centro Interculturale delle donne e Centro Antiviolenza.
Adesioni di: Officina di Genere, Coordinamento donne CGIL e SPI CGIL, UDI Imola, PerLe Donne, Coordinamento donne ANPI Imola
Altre adesioni: Barbara Bonomi Romagnoli - giornalista freelance e autrice di "Irriverenti e libere. Femminismi nel nuovo millennio"
Simona Lanzoni - vicepresidente Fondazione Pangea Onlus
Corrente Rosa
Associazione Armonie (BO)
Rete Tiziana Viva (Fondazione Pangea, Soleterre ONG/ONLUS, City Angels, Altreconomia, Amici dei Bambini, Tiarè, Meti, Casa Editrice Mammeonline, La Bitta, L’Isola che non c’è)
PER ADERIRE SCRIVETE A INFO@TRAMADITERRE.ORG
(Non si accettano adesioni di partito)
PER INFO: 054228912, 3347311570, INFO@TRAMADITERRE.ORG
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"ONE BILLION RISING IMOLA"
NOTE AL DOCUMENTO:
1Da “Il pronto soccorso si trasforma in trappola per le donne maltrattate”, appello congiunto di D.i.Re. Donne in rete contro la violenza, Ass. nazionale "Telefono Rosa" onlus, UDI Unione Donne Italiane, Fondazione "Pangea" e Ass. "Maschile Plurale" - www.direcontrolaviolenza.it/il-pronto-soccorso-si-trasforma-in-trappola-per-le-donne-maltrattate/
2Nel 2013 lo erano il 70% del totale, il 93,3% in Molise, l’80,7% in Lazio e in Abruzzo; il 35% circa delle strutture pratica l’“obiezione di struttura”.