Casa per la Pace "La Filanda"
Casalecchio di Reno - Bologna

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Il lavoro alla Filanda


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Al momento dell’unità d’Italia Casalecchio di Reno costituiva la punta di diamante della industrializzazione bolognese, essendo sede della più grande fabbrica della provincia, l’opificio per la lavorazione della canapa. La Filanda passò infatti dai 150 operai del 1856 ai più di 500 negli anni ‘80.

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Alcuni lavoratori erano abitanti di Casalecchio, ma la maggioranza proveniva dai comuni vicini: da quando, nel 1880, venne istituita la linea tranviaria a vapore Casalecchio - Bologna, speciali corse vennero riservate agli operai della Filanda. Ancora negli anni ‘20 del Novecento Casalecchio di Reno si svegliava al rumore di zoccoli delle operaie che, prima dell’alba, si recavano al lavoro. Dei 450 operai di cui parlano le cronache nel 1872, 250 erano donne, per lo più di età compresa tra i 15 e i 19 anni, e 70 erano bambini. La giornata lavorativa, per tutti gli operai, aveva una durata di 12 ore e mezza, più un’ora e mezza per il pranzo e mezz’ora per la cena. Se le ore di lavoro erano indipendenti dal sesso e dall’età, il discorso è ben diverso per quanto riguarda il salario: se, nel 1883, un uomo poteva guadagnare in una giornata da 1,5 a 3 lire, le stesse ore lavorative fruttavano 1 lira a una donna e 0,55 lire a un bambino.

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Sebbene le brochure prodotte dai proprietari dell’opificio a scopo promozionale esaltassero le ottime condizioni igienico - sanitarie in cui si svolgeva il lavoro, è certo che la polvere e l’umidità prodotta dalla lavorazione della canapa causasse frequenti malattie agli occhi, alla gola e ai polmoni. In quanto soggetti più deboli dell’intero ciclo produttivo, furono proprio le operaie a fare fronte compatto per ottenere condizioni di lavoro più umane e salari più alti: nel 1902 fondarono infatti la Lega di Resistenza, una sorta di società di mutuo soccorso e, nel primo decennio del Novecento, parteciparono a scioperi che in alcune occasioni ebbero durata anche di alcuni mesi.

L’uscita dall’isolamento delle campagne e la maggiore scolarizzazione degli operai non agricoli rispetto ai braccianti favorì infatti nei lavoratori delle fabbriche una presa di coscienza sociale e politica. Tra i benefici ottenuti attraverso tali mobilitazioni vi fu l’istituzione, a spese della proprietà dello stabilimento, di un asilo infantile destinato ai figli delle operaie che, secondo i ricordi di alcuni testimoni, occupava i locali ora adibiti a “Casa per la Pace”.