Tanti di noi hanno provato una gioa enorme quando, per via del provvedimento di indulto, il 26 Settembre di quest’anno, Silvia Baraldini ha riavuto la libertà dopo anni di detenzione, prima nelle carceri americane e poi, dopo che gli Usa hanno concesso l'estradizione nel 1999, in quelle italiane.
Molti avvoltoi si sono scagliati contro questo provvedimento, giornali e personaggi politici di destra hanno riaperto una vera e propria campagna di sciacallaggio contro Silvia, molto simile alle tante a cui avevamo assistito all’epoca della detenzione americana per contrastare il suo rimpatrio per scontare la condanna nel nostro paese.
La sera del 14 dicembre potremo incontrare Silvia al VAG e sentire dalle sue parole il racconto dell’allucinante vicenda che l’ha coinvolta per tanti anni. Conduce la serata Giuliano Bugani, autore del documentario “Liberate Silvia”.
Per le compagne e compagni più giovani pubblichiamo un piccolo riassunto della sua storia.
Silvia Baraldini nasce a Roma nel 1947; nel 1961 si trasferisce negli USA con la famiglia. Studia alla Winsconsin University, dove partecipa attivamente al movimento contro la guerra in Vietnam, si impegna a sostegno delle lotte dei neri in Sud Africa e appoggia il movimento indipendentista portoricano negli USA. Negli anni 70 approfondisce il suo impegno politico e organizza un movimento di solidarietà con il popolo dello Zimbabwe ed entra a far parte del gruppo di osservatori internazionali presenti durante la consultazione elettorale per l'indipendenza del paese. Successivamente milita in un gruppo politico non clandestino della sinistra radicale USA: il Gruppo 19 Maggio.
Nel Novembre del 1982 Silvia Baraldini (che presiede un comitato di difesa di alcuni militanti delle Pantere Nere, gruppo collegato al Gruppo 19 Maggio, accusati di aver preso parte alla rapina di un furgone blindato della Brink's in cui rimangono uccisi due agenti di polizia ed una guardia giurata), viene arrestata per associazione sovversiva. Rilasciata dopo un mese su cauzione, viene convocata come testimone in un'inchiesta sul movimento indipendentista portoricano, e poiché si rifiuta di rispondere alle domande, viene condannata a tre anni di reclusione per oltraggio alla Corte. Nel Marzo 1983 inizia alla Corte Federale il processo per la rapina alla Brink's e per le attività delle Pantere Nere.
Silvia è uno degli undici imputati per cui viene chiesta l'applicazione della legge R.I.C.O., varata negli anni '70 per combattere la mafia e le sue infiltrazioni in campo economico. Nella sentenza (emessa 5 mesi dopo) nessun imputato viene riconosciuto colpevole di rapina e di omicidio. Silvia Baraldini viene riconosciuta colpevole di aver progettato un'altra rapina (mai eseguita), di aver contribuito alla evasione ed alla fuga a Cuba della militante nera Joanne Chesimard e di aver violato la legge antimafia.
Nel maggio 1984 viene condannata al massimo della pena prevista dalla legge: 20 anni per cospirazione e 20 anni per il reato di cui e stata riconosciuta colpevole. II primo appello presso la Corte Federale viene respinto nel 1985, anche se la Corte ammette la debolezza delle prove contro l'imputata. Dopo due anni di carcere a New York ed uno in California, Silvia nel 1987, dopo il suo rifiuto a collaborare con I'F.B.I., viene trasferita nell'unità di massima sicurezza della prigione di Lexington nel Kentucky, dove viene sottoposta a lunghi periodi di isolamento, alla sistematica interruzione del sonno e ad altre torture psicologiche.
Nel Luglio 1988 la condizione speciale di detenzione viene riconosciuta come anticostituzionale, in quanto dovuta a cause politiche, e l'unita di Lexington viene chiusa. Subito dopo Silvia subisce due interventi chirurgici per l'asportazione di un tumore all'utero.
Dopo l'operazione viene trasferita a New York e, nell'Aprile 1990, nell'unita di massima sicurezza del carcere di Marianna, in Florida, il carcere più isolato di tutti gli USA. Viene rinchiusa in una cella di due metri per tre, sottoposta a controllo totale, 24 ore su 24, con telecamere, microfoni, ispezioni corporali. In questo periodo sono inoltre pressoché assenti tutte le cure mediche, e anche i contatti con l'avvocato e con l'anziana madre vengono gravemente limitati.
Nell'Aprile 1994 viene infine trasferita nel carcere di Danbury (Connecticut). Dopo l'esito negativo dell'ultimo appello (il 5°!) al Parole Board (commissione di riesamina del detenuto per decidere l'eventuale riduzione della condanna), Silvia vede inasprirsi le condizioni di detenzione: di recente, in seguito alla sua protesta per aver subito l'ennesima violazione della sua dignità di donna da parte dei guardiani del carcere, viene punita con 6 mesi di reclusione in isolamento, costretta in una cella priva del minimo spazio vitale. Una strada giuridicamente percorrile per sottrarre Silvia Baraldini alla persecuzione di cui é vittima è l'applicazione della "Convenzione sul trasferimento delle persone condannate" adottata a Strasburgo nel 1983, ratificata anche da Stati Uniti ed Italia, che riconosce il diritto del detenuto a scontare la pena nel suo paese di origine; ciò nonostante gli USA hanno risposto negativamente per ben 4 volte alla richiesta di estradizione, sempre avanzata in modo poco energico dai vari governi succedutisi sino ad oggi nel nostro paese.
Nonostante la malattia non riesce ad ottenere il rimpatrio fino al 1999. Dopo essere stata detenuta in Italia per scontare la sua pena, estradata in seguito alle pressioni del forte movimento di sensibilizzazione mirato a mostrare una diversa chiave di lettura sulla sua militanza politica, Silvia Baraldini è stata scarcerata il 26 settembre 2006 per effetto dell'indulto.
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