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Mobilitazione globale di Amnesty International in occasione del quinto anniversario dell'apertura del centro di detenzione di Guantánamo Bay
15 gennaio 2007
In occasione del quinto anniversario dell’apertura del centro di detenzione di Guantánamo Bay, milioni di soci e di simpatizzanti di Amnesty International in ogni parte del mondo sono mobilitati a partire da oggi (giovedì 11 gennaio) per chiedere alle autorità Usa la chiusura, una volta per tutte, del campo di prigionia.
Con l’inizio del sesto anno di detenzioni nella base navale Usa in territorio cubano, Amnesty International rinnova il suo appello affinché tutti i detenuti di Guantánamo Bay siano sottoposti a un processo equo senza ulteriore ritardo oppure siano rilasciati. Manifestazioni e altre iniziative sono previste in città di più di venti paesi, tra cui Washington, Tokio, Tunisi, Tel Aviv, Londra, Madrid e Asunción.
A Roma, l’appuntamento è alle 17.30 in piazza di Pietra. Al centro della piazza verrà allestita una gabbia con detenuti in tuta arancione e verranno lette testimonianze di ex detenuti di Guantánamo. Seguirà una conferenza stampa, alle 18.30, all’interno del Caffè Fandango, nella stessa piazza.
“Nessuna persona può essere posta al di sotto della protezione della legge e nessun governo può ritenersi al di sopra di essa” – ha dichiarato Irene Khan, segretaria generale di Amnesty International. “Il governo statunitense deve mettere fine a questa parodia di giustizia. Inoltre, non basta che i leader mondiali si dicano preoccupati per Guantánamo, continuando al contempo a portare avanti i loro rapporti con gli Usa come se niente fosse. La comunità internazionale deve esercitare una pressione efficace sugli Usa affinché chiudano Guantánamo e ripristinino il rispetto per il diritto internazionale”.
“Ogni giorno che passa” – ha aggiunto Khan – “la crudeltà del regime di detenzione a tempo indeterminato raggiunge nuovi picchi. Guantánamo è finita per diventare il simbolo di quanto si siano rivelate vuote le promesse del governo Usa che il rispetto dei diritti umani e della legge sarebbe stato al centro della risposta agli attacchi dell’11 settembre 2001. Torture, umiliazioni, discriminazione, aggiramento dei tribunali e disprezzo per i trattati internazionali, nella quasi totale impunità, sono parte integrante dei cinque anni di vita di Guantánamo”.
Il primo di oltre 750 detenuti, di più di 45 nazionalità, è arrivato alla base di Guantánamo l’11 gennaio 2002. In seguito, vi sono stati trasferiti minorenni anche di 13 anni di età, gente che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato e decine di persone consegnate agli Usa da Pakistan e Afghanistan in cambio di taglie di migliaia di dollari.
Cinque anni dopo, a Guantánamo rimangono ancora circa 400 detenuti. Nessuno di loro è stato processato o è comparso di fronte a un tribunale. La loro detenzione è illegale. Nessuno di loro sa per quanto tempo dovrà stare lì e questa è di per sé una forma di abuso psicologico, che si aggiunge agli abusi fisici cui sono sottoposti i prigionieri. La crudeltà di una detenzione pressoché in isolamento si estende alle loro famiglie.
Le autorità statunitensi hanno definito i detenuti di Guantánamo “combattenti nemici” in un conflitto globale. Che il mondo sia considerato un “campo di battaglia” lo dimostra il fatto che i prigionieri sono stati catturati in Gambia, Bosnia, Mauritania, Egitto, Indonesia e Thailandia, oltre che in Pakistan e Afghanistan.
Sebbene le sue attività siano circondate dal segreto, è noto che la Cia ha gestito un centro d’interrogatorio a Guantánamo. Amnesty International ha segnalato con preoccupazione alle autorità Usa che agenzie di altri paesi, tra cui Cina e Libia, sono entrate nel centro di detenzione e hanno preso parte ai maltrattamenti.
Inoltre, alcuni dei prigionieri di Guantánamo sono stati detenuti in carceri segrete, gestite dalla Cia in altre parti del mondo, prima di essere trasferiti alla base navale.
“Guantánamo è il centro di una ragnatela di prigioni segrete e di trasferimenti illegali di prigionieri che gli Usa hanno esteso al mondo, con la complicità di altri governi, inclusi quelli europei, del Medio Oriente e dell’Africa del Nord” – ha denunciato Khan. “È davvero arrivato il momento che gli Usa e i loro partner in queste attività illegali smantellino questa ragnatela di segretezza e di violazioni dei diritti umani”.
“Anziché rafforzare la sicurezza, queste pratiche hanno indebolito i diritti umani e la legge, che rappresentano il migliore antidoto all’insicurezza, e hanno minato l’autorevolezza degli Usa quando parlano di diritti umani altrove, come in Darfur” – ha concluso Khan.
Il governo Usa non solo ha ignorato gli standard internazionali sui diritti umani, ma ha anche bloccato il controllo giudiziario delle sue stesse corti. Lo scorso ottobre, il presidente Bush ha posto la propria firma sull’Atto sulle Commissioni militari, che sottrae alle corti statunitensi la giurisdizione per ricevere reclami di habeas corpus da parte di cittadini stranieri detenuti come “combattenti nemici”, compresi quelli di Guantánamo. L’habeas corpus è una garanzia fondamentale contro la tortura e le detenzioni arbitrarie. Amnesty International chiede che sia ripristinata e che sia abolito, o ne vengano sostanzialmente mutate le norme, l’Atto sulle Commissioni militari.
FINE DEL COMUNICATO Roma, 11 gennaio 2007